«Decisivo il capitale umano
Impresa come un’orchestra

Giampaolo Grossi, dirigente e consulente aziendale, protagonista all’assemblea di Confartigianato Como «Direzione e team sono interdipendenti, si crea appartenenza se avvertono di avere bisogno reciproco»

Il fattore chiave sono sempre le persone e, in fondo, l’impresa è come un’orchestra: è necessario un direttore quanto ogni singolo musicista. La metafora è di Giampaolo Grossi, dirigente e consulente con esperienze di top management in aziende internazionali, recente protagonista all’assemblea generale di Confartigianato Como su come costruire relazioni positive in azienda, per crescere insieme.

Qual è il primo fattore di successo di una azienda?

Il fattore umano. C’è una forte similitudine tra come funziona un’azienda e come è organizzata un’orchestra. Se si analizza la differenza dei ruoli tra direttore e musicisti, si trovano analogie tra le funzioni dell’imprenditore o dell’artigiano rispetto all’attività di tutto il gruppo di lavoro. Difficile dire chi sia più importante. Se il direttore d’orchestra si fermasse, smettesse di dirigere, lo spettacolo proseguirebbe comunque, i musicisti continuerebbero a suonare, almeno fino alla fine del concerto. Lo stesso accade nelle aziende: nel momento in cui si interrompe la direzione, i processi produttivi proseguono. Il tutto fino a un certo punto. Al termine del concerto non ce ne sarebbe un altro, così come i collaboratori di un’azienda possono portare avanti il lavoro ma poi, in genere, hanno difficoltà a immaginare il progetto successivo, a dare una visione del futuro, se non nel caso di un team molto coeso.

Cosa succede se è invece il team a smettere di operare?

Al contrario, se sono i musicisti a fermarsi, la musica si interrompe; allo stesso modo se i lavoratori smettono di operare si fermano le produzioni. Significa che le due unità, direzione e team, hanno una forte appartenenza l’una all’altra, questa interdipendenza unisce, crea un senso di inclusione, permette di percepire il proprio valore in un contesto.

Spesso lo si coglie quando si entra in un contesto di lavoro, in una assemblea di categoria, in un’azienda che nel suo spazio riesce a costruire un’idea di comunità che si coglie subito arrivando dall’esterno. Nel caso delle associazioni di categoria, la loro funzione è mettersi a disposizione di tutti e assumono il ruolo di direzione d’orchestra con la finalità di avere una voce più forte e univoca.

In tutto questo non si nomina lo stipendio: quanto incide una giusta o buona retribuzione sull’incentivare il senso di appartenenza a un’organizzazione di lavoro?

È importante, certamente, ma quello che sta cambiando è che le persone non sono più alla ricerca, in via prioritaria, di ruoli, quanto piuttosto di esperienze. Ognuno di noi ha esigenze economiche e il fattore economico è importante, ma non è l’unica cosa fondamentale. Conosco tante persone con stipendi importanti ma non sono felici e cambiano per retribuzioni magari più modeste, sempre dignitose, per essere poi molto più soddisfatte. Il valore della gratificazione personale è quantificabile ed è proprio questo l’elemento che dà la forza di ripartire ogni giorno, di impegnarsi e di credere in quello che si fa. Do per scontato che ogni ruolo abbiamo uno stipendio giusto e adeguato al costo della vita ma, al netto di questo, oggi ci sono maggiori esigenze rispetto a 20 o 30 anni fa, si ricerca una soddisfazione profonda, personale, ed è per questo che l’aspetto esperienziale gioca un ruolo fondamentale.

Come si esprime questo aspetto esperienziale in azienda?

Nella mia esperienza ho avuto occasione di confrontarmi con un imprenditore di altissimo livello, per un marchio globale, e ho messo a disposizione dell’azienda la conoscenza della nostra cultura, del modo di fare e vivere italiano, necessario per inserirsi nel nostro mercato. È stato reso facile e possibile mettere in comune delle pratiche consuete per me ma private perché a mia volta sono stato coinvolto anche sul piano personale, familiare, legato ad aspirazioni e aspettative. Fin da subito il rapporto di lavoro non è stato confinato a una sfera professionale, rigida e fredda. L’interesse per me come persona da parte dell’azienda ha creato un forte senso di appartenenza. Questo approccio permette di aprire a un altro livello l’interazione con l’impresa e di riversare sul lavoro tutto il proprio vissuto e la propria cultura.

Come è possibile estendere questo modello di relazione a tutte le organizzazioni?

Proprio come in un’orchestra, sono i musicisti che creano la magia, mentre ai direttore spetta mantenere l’allineamento, l’armonia. Hanno bisogno tutti gli uni degli altri, la stessa cosa accade in azienda dove i collaboratori realizzano prodotti, mente i direttori, artigiani o imprenditori, sono coloro che seguono i dettagli e prevedono i cambiamenti. Perché tutto questo avvenga serve individuare una cultura aziendale, conoscerla e condividerla.

Il tema dei collaboratori è cruciale: non si trovano e quando questo accade non è facile trattenerli, la soluzione è nel creare senso di appartenenza?

Quando avevo 20 anni ho avuto la fortuna di incontrare persone che avevano 40 anni e che mi hanno insegnato il mestiere in un determinato modo. Da parte mia ci ho messo l’attitudine a imparare ma avevo figure che erano pronte a insegnarmi, a darmi delle linee guida. Questo processo di disponibilità ad imparare da una parte e a insegnare dall’altra non c’è più. Non perché i giovani adesso siano meno intelligenti, al contrario sono molto più veloci. Ma ovviamente per colpa della velocità non hanno sviluppato determinati aspetti come la pazienza o come lavorare sui propri valori. Certo sono diversi dalle generazioni precedenti, è cambiato il mondo. Le persone più grandi devono mettersi in discussione e adattarsi maggiormente al cambiamento. In questo percorso devono progettare esperienze attraverso le quali insegnare alle generazioni più giovani quello che hanno imparato.

Le imprese italiane si distinguono per essere quelle che nei ruoli apicali hanno figure più anziane: significa maggiore sicurezza e saggezza, ma quale immagine si proietta all’esterno?

Il ruolo dei fondatori, degli imprenditori di grande esperienza, è quello di creare valore. Loro sono quelle figure che devono raccontare la storia di un’idea e di un’impresa, i valori per cui è nata, i sacrifici per costruirla, è in questo che l’artigianalità ha un valore aggiunto. Se a 70 anni ancora si mantiene un ruolo attivo di dirigenza, si rischia di essere fuori dal tempo: è finita quell’epoca e i giovani rischiano di non seguire più quel tipo di leadership, ci vogliono dirigenti nuovi e la capacità di delegare il ruolo di comando. Per esempio Brunello Cucinelli pochi anni fa ha lasciato il ruolo dirigenziale, pur restando sempre in azienda, e ha assunto due figure di 40 anni come amministratori. Questa scelta ha allungato la vita dell’azienda: ha preparato i futuri ceo, restando loro accanto perché conosce meglio il ruolo, ma quando loro arriveranno a loro volta a 60 anni troveranno altri 40enni che garantiranno all’azienda di restare al passo con i tempi. In Italia c’è la tendenza ha non rinunciare mai al ruolo di comando e l’azienda funziona finché il fondatore la dirige, ma poi c’è il vuoto, non si coltiva il futuro. Accade anche in realtà molto grandi. Non si tratta tanto di andare in pensione quanto di saper evolvere il proprio ruolo per farlo crescere in funzione ispirazionale e meno dirigenzale. Gli americani questo passaggio lo sanno interpretare meglio.

C’è anche un dato demografico oggettivo: i più anziani tendono a mantenere le posizioni più a lungo perché i giovani sono meno, non è così?

Le persone ci sono, ma non le ispiriamo più come prima. Questa capacità di ingaggio è dovuta ai valori che si riescono a trasmettere e alla mission che ogni azienda ha o deve riuscire a creare, deve fornire un motivo di ispirazione. Per questo serve comunicare molto i propri valori anche all’esterno attraverso i social che non possono essere trascurati, al contrario vanno seguiti con grande cura perché i giovani vivono lì ed è attraverso questi canali che va stimolato il loro interesse, mostrando cosa succede nelle aziende, cosa comporta quello che si produce e cosa vive la persona che lavora lì.

Si tratta di avviare un profondo percorso di cambiamento lavorando su come le persone vivono l’azienda, su come costruire la squadra, con un giusto mix di impegno e disciplina, associati a tempo e pazienza per costruire sempre più sostenibilità a tutti i livelli, ma con focus su quella relativa alle persone.

© RIPRODUZIONE RISERVATA