I nuovi orizzonti del lino: packaging e fibre high tech

Pierluigi Fusco Girard, ad di Linificio e Canapificio Nazionale, fatturato raddoppiato negli ultimi cinque anni. Materiale green per l’imballaggio alimentare, componente per materiali alternativi alla fibra di carbonio

Applicazioni extra tessili per le fibre naturali e recupero della tradizione contadina per ottenere materia prima a km zero: sono alcune delle azioni di Linificio e Canapificio Nazionale, filatura liniera del Gruppo Marzotto, società Benefit da quest’anno.

Amministratore delegato è Pierluigi Fusco Girard. Entrato nel ruolo nel 2017, il linificio l’anno successivo ha ricevuto il premio 100 Eccellenze Italiane.

Qual è stato il recente sviluppo del linificio?

Siamo arrivati quest’anno a 60 milioni di euro di fatturato, circa mille dipendenti complessivi nei tre stabilimenti, con headquarter a Villa d’Almè presso Bergamo dove si realizza una produzione di estremo pregio: si tratta dei filati più fini al mondo, utilizzati da più grandi brand di abbigliamento, arredamento e accessori.

È il centro di ricerca e sviluppo che si occupa di valorizzare il filato di lino sia per aggiornare il prodotto sia, da un punto di vista dei processi, per ottimizzare e implementare i macchinari che utilizziamo per produrre il filato.

Questa tensione al miglioramento del prodotto e del processo ha permesso una crescita importante: nel 2017 il fatturato era di 35 milioni di euro, abbiamo raddoppiato il risultato in 5 anni. Grazie a un prodotto di eccellenza e a processi di produzione più efficienti abbiamo potuto cominciare a cercare nuovi mercati e a diversificare le nostre proposte.

In quali direzioni?

Negli ultimi anni l’obiettivo è stato studiare proposte di utilizzo del lino in settori dove normalmente non viene utilizzato. Si tratta di un filato che ha un dna fortemente sostenibile: abbiamo portato quella sostenibilità, che naturalmente appartiene al nostro prodotto, dove invece non c’è.

Quali nuovi settori avete esplorato?

Ne abbiamo suggerito l’utilizzo, per esempio, nel packaging alimentare, in particolare per le reti che avvolgono gli agrumi. Di solito sono realizzate in plastica e destinate a diventare rifiuti perché se ne riescono a riciclare meno del 10%, mentre la Commissione europea all’interno del “Green Deal” ha deciso che entro il 2030 tutti gli imballaggi in materiale plastico immessi nel mercato europeo dovranno essere riciclati o riutilizzati a costi sostenibili.

Vista la scarsa performance dal punto di vista della sostenibilità del materiale comunemente utilizzato, ci siamo resi conto che quello poteva esser nuovo sbocco per il nostro prodotto.

Quali risultati ha dato lo studio della fattibilità del progetto?

Abbiamo stretto una partnership con Kuku, azienda bolognese specializzata nel packaging flessibile, per la produzione di reti in lino per le confezioni alimentare, in particolare per frutta e verdura.

Prima abbiamo ottenuto un filato adatto e poi la rete 100% in lino ed è stata riconosciuta come alternativa rispettosa dell’ambiente rispetto alle reti plastiche sul mercato.

Quali altri esempio di applicazione del lino in settori extra tessile avete esplorato?

Dopo uno studio di quasi quattro anni con centri di ricerca europei, abbiamo verificato la possibilità di sostituire la fibra di carbonio in alcuni materiali compositi con il lino e la canapa per ottenere un impatto ambientale inferiore.

Il prodotto è stato finalizzato con Fibertech, azienda con sede in provincia di Varese che si occupa di soluzioni innovative ad alto contenuto tecnico.

Insieme abbiamo sviluppato prodotti con materiali compositi performanti dove sono lino o la canapa a sostituire fibre artificiali come il carbonio nei materiali compositi che costituiscono le carrozzerie di auto, barche, aerei.

Questo consente vantaggi in termini di smaltimento, di migliori performance meccaniche, resistenza, riduzione globale del peso delle strutture, maggiore durata, smorzamento delle vibrazioni e controllo vibro-acustico.

La ricerca di soluzioni alternative e lo sviluppo in settori al di fuori del circuito del tessile ci ha permesso di crescere.

Oltre alle applicazioni innovative, prosegue la produzione tessile tradizionale, con quali prospettive?

Siamo aperti anche ai mercati tradizionali. Abbiamo recuperato una tradizione che se altrove ha 30 o 40 anni di storia, da noi ne ha 150. Linificio e Canapificio Nazionale nasce a Bergamo nel 1873, in quell’epoca esistevano in Lombardia importanti coltivazioni di lino e il linificio nacque per trasformare quel prodotto in filato, che nell’area lombarda veniva poi trasformato in tessuto generando una filiera completa.

L’approccio iniziale dell’azienda era quindi quello di valorizzare un prodotto del territorio e di farlo conoscere: questo l’ha portata a crescere nel tempo fino a diventare la seconda realtà di riferimento mondiale nel settore lino dopo un’azienda francese.

Abbiamo voluto recuperare la coltivazione del lino come avveniva un tempo, abbiamo provato a filarlo con le modalità tradizionali in una logica di fabbrica lenta e questo ha permesso di ottenere filati molto belli e rispettosi dell’ambiente. Un connubio di qualità e sostenibilità che ci ha aperto mercati più alti rispetto alla media del prodotto.

Da dove proviene il lino come materia prima?

Per la filatura e tessitura si ricorre sempre al lino europeo coltivato per il 90% nel nord Europa. Il lino di qualità proviene da una precisa area geografica tra Normandia, Belgio, Olanda. Paesi nei quali è coltivato il 100% del lino di buona qualità.

Esiste poi il lino bielorusso, egiziano e cinese ma si tratta di una qualità diversa.

In passato però il lino era coltivato con ottimi risultati anche in Italia, tradizione che è andata perduta nel tempo. Nel secondo dopoguerra si è pensato di recuperare questa pratica e competenza agricola che è parte delle radici culturali italiane. Per farlo si è rafforzato il rapporto con il territorio lombardo. In questo senso fare impresa è anche valorizzare il prodotto di una terra. Abbiamo riportato i campi di lino in Lombardia, per chiudere un cerchio, realizzare un tessuto a chilometro zero e, nel farlo, coinvolgere un’intera comunità.

Perché l’esperimento di riportare i campi di lino in Italia si diffonda abbiamo fatto esperienza di quanto sia necessaria la partecipazione e il coinvolgimento di centri culturali, istituzioni, scuole, associazioni, accademie di belle arti, aziende attente al territorio con attività, mostre, eventi.

Quando lino riuscite a coltivare ad oggi?

Siamo attorno all’1 o 2% rispetto ai volumi che ci sono necessari, ma è stato avviato il processo che ha aperto alla possibilità di questa coltivazione.

Il linificio e canapificio nazionale è diventato società benefit anche per questa operazione di riportare la coltivazione del lino in Italia, perché ha anche una valenza culturale e sociale.

Lo scorso anno erano solo pochi ettari coltivati, quest’anno sono diventati 15, il prossimo anno saranno 30 e via crescendo a 45 e poi 60 ettari.

In questa fase, l’agricoltore non corre il rischio di impresa perché siamo noi, come linificio, ad accollarci l’eventuale rischio agricolo: remuneriamo il coltivatore a prescindere da come andrà il raccolto, proprio per incentivare la quantità di ettari coltivati.

Perché è così importante che la materia prima sia di produzione nazionale?

Perché permette la riduzione della catena del valore: si tratta di una filiera che potrebbe essere quasi a chilometro zero. C’è poi un altro aspetto, legato alle condizioni climatiche che mutano gli scenari, per questo è saggio nel medio periodo crearsi delle alternative non solo in Lombardia, ma anche in Toscana, Emilia Romagna e in Puglia. Vogliamo diversificare le colture per capire quali possono essere le opportunità climatiche e le tipologie di terreno migliori per far crescere il lino, tra l’altro in fioritura a inizio giugno.

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