«La manifattura ha futuro se si investe in tecnologia»

L’intervista L’allarme di Pascal Cagni, presidente di Business France ed ex vicepresidente di Apple, sull’economia globale. «L’IRA di Biden peggio dei dazi di Trump; investiamo nella transizione green e proteggiamo le nostre industrie»

Como, la seta e il futuro della manifattura europea. Dal lago di Como, dove vive e dove affondano le sue radici familiari, Pascal Cagni, recente ospite della rassegna Onde Lariane, allarga lo sguardo all’orizzonte globale. E non è un’osservazione banale quella di chi come Cagni presiede Business France (scelto dal presidente Emmanuel Macron), in passato è stato vicepresidente di Apple (nominato da Steve Jobs) e ora guida una piattaforma che investe in settori strategici, dalla manifattura di eccellenza alla transizione sostenibile. Ed è, quello di Cagni, uno sguardo preoccupato, ma non rassegnato rispetto alla prospettiva di un’Europa che torni ad avere un ruolo da protagonista nell’economia globale. Il maggiore pericolo, lui sostiene, non sono i dazi voluti dal presidente Trump. I danni più pesanti risalgono al suo predecessore. L’iniezione di 400 miliardi di sussidi per la transizione verde negli Stati Uniti, voluta da Joe Biden attaverso l’Inflation Reduction Act (IRA), ha avuto l’effetto di “uccidere” l’architettura di fiducia multilaterale, in particolare nei confronti dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) che a lungo ha permesso di sollevare milioni di persone dalla povertà grazie a un sistema di regole condivise. I dazi di Trump hanno “cristallizzato” una situazione critica, mentre l’azione di Biden ha minato le fondamenta stesse del libero scambio equo.

Lei ha espresso una profonda preoccupazione per l’attuale scenario politico internazionale, delineando il modo di agire di Donald Trump come estremamente grave, ma ha poi aggiunto che la politica di Biden è stata dal punto di vista economico ancora più dannosa. Potrebbe chiarire il suo pensiero?

Non ho certo una opinione positiva di Trump e del messaggio che, attraverso la sua vicenda politica, viene trasmesso alle generazioni future. Penso che l’attuale presidente americano sia, su vari fronti, una delle sfide più ardue a livello globale e temo ad esempio che non sia al sicuro un principio cardine dei sistemi democratici come la distinzione tra giustizia e politica. Tuttavia l’azione di Biden è stata peggiore nell’ambito strettamente economico. L’introduzione dell’IRA (Inflation Reduction Act), con i suoi 400 miliardi di sovvenzioni e agevolazioni fiscali per la transizione ecologica, ha fondamentalmente danneggiato l’architettura della fiducia ufficiale nel libero scambio. I dazi di Trump erano mirati, ma il sistema più danneggiato, ovvero l’accordo con l’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), è stato minato dall’intervento di Biden.

Dunque, ritiene che l’azione di Biden con l’IRA sia stata più distruttiva per l’ordine economico multilaterale rispetto alle politiche protezionistiche di Trump?

L’OMC ha consentito, nell’arco di 20−40 anni, la creazione di un ordine globale che ha sottratto cento milioni di persone alla povertà, reintroducendole nel circuito economico. Biden è il primo, insieme alla Cina, ad aver stravolto questo meccanismo, in modo sconsiderato. I dazi di Trump hanno cristallizzato una situazione critica preesistente. Biden è stato peggio perché ha distrutto un impianto globale che ha resistito per decenni. L’impatto sull’OMC è stato drammatico.

Concentrandoci sulla transizione ecologica in Europa, spesso percepita come un onere in termini di costi e regolamentazioni. Non rischiamo di avvantaggiare ulteriormente Paesi come Cina e Stati Uniti?

Sì, il rischio esiste e si deve a un approccio che porta a creare “super-strutture” che impongono leggi e regole, generando un significativo svantaggio competitivo. Mentre Trump non si cura delle restrizioni ambientali e fa il suo gioco, noi ci auto-regolamentiamo. Detto ciò, ritengo che sia corretto preoccuparsi dell’emergenza ambientale. Data la realtà del Global Warming che si manifesta anche negli Stati Uniti, dobbiamo implementare una regolamentazione per evitare che prodotti cinesi e americani continuino ad invadere il nostro mercato. Contemporaneamente, dobbiamo creare nuove industrie con un’impronta carbonica molto ridotta. Anche sulla tecnologia l’Europa è indietro: abbiamo perso il primato da tempo a favore degli Stati Uniti. E la prossima frontiera, in termini tecnologici, sarà vinta dalla Cina.

L’Intelligenza Artificiale (AI) sembra accelerare ulteriormente questo divario a favore della Cina. Quali sono le ragioni di questo vantaggio?

La Cina è in vantaggio su questa materia. Hanno trascorso trent’anni a replicare e ora sono allo stesso livello, se non in testa. Questo perché l’AI richiede l’accesso ai dati, e loro, in un regime non democratico, dispongono di un controllo totale sui dati per l’addestramento dei modelli. È una società interamente sotto sorveglianza.

Quale strategia deve adottare l’Europa per non soccombere in questo scenario?

È essenziale investire massivamente in tutte le nuove tecnologie per la transizione ecologica. Inoltre non dobbiamo imporre un eccesso di regole e, se lo facciamo, dobbiamo garantire che tali regole si applichino equamente a prodotti cinesi e americani. Dobbiamo assicurare un level playing field (campo da gioco equo). Non sono certo che l’Europa lo comprenda appieno, ma l’idea è questa.

Spostandoci sul contesto locale, lei ha lodato l’eccellenza di Como, in particolare nella manifattura della seta. Come si può tutelare e valorizzare questa unicità nel quadro globale da lei descritto?

La seta e la manifattura tessile di Como sono un’eccellenza mondiale, ma forse non si ha la piena percezione della sua unicità e dell’importanza di preservarla. Questo è un bene straordinario da tutelare. Aziende come Ratti, Taroni e Mantero operano nel lusso di altissimo livello e sono un patrimonio incredibile di questo territorio.

L’investimento in tecnologia e AI è cruciale anche per settori tradizionali come la manifattura tessile comasca?

Sì, perché è in atto un cambiamento globale accelerato dall’AI. Dalla semplice automazione siamo passati alla robotizzazione, ai cobots (robot collaborativi) e presto arriveremo agli humanoids, ovvero macchine capaci di svolgere il lavoro meglio degli esseri umani. Paesi con un grave inverno demografico, come il Giappone, dovranno gestire la società con un massiccio impiego di cobots e robots. L’Italia e l’Europa devono accelerare in questa direzione. Siamo indietro, ma non siamo perduti. Qui abbiamo il savoir faire, valori immateriali come cultura, stile, storytelling, ma il tema fondamentale è investire nella tecnologia e, certo, per farlo occorrono ingenti capitali.L’Europa può diventare più forte, più competitiva se accelera su questo terreno.

Un altro punto di eccellenza di Como è l’ospitalità sul Lago. Perché questa zona, a differenza di altri laghi come il Lemano o il Garda, è riuscita a sviluppare un tale livello di ricettività?

L’ospitalità sul Lago di Como è straordinaria. Non è solo una questione di contesto favorevole, vale la pena chiedersi perché qui e non sul Lago di Garda o sul Lemano dove pure c’è tanta ricchezza? Immagino contino la posizione geografica, la tradizione culturale e anche la capacità di alcune straordinarie famiglie che rappresentano al meglio l’ospitalità di lusso sul Lago di Como.

Lei, in quanto residente e investitore nella realtà locale, cosa nota nel cambiamento del territorio e nel valore delle proprietà storiche?

Noto che sono stati fatti ingenti investimenti. Quando si vedono tante gru, si capisce che qualcosa si sta muovendo. Case che 15 anni fa ho comprato per 100−150 mila euro, oggi attirano acquirenti tedeschi, olandesi e hanno acquisito un valore notevolmente superiore. C’è stata una riscoperta. Quella che cinquant’anni fa era considerata povertà – le vecchie case in pietra – oggi sono un privilegio, la vera ricchezza che viene ricercata. Dobbiamo essere molto fieri e orgogliosi di ciò che possediamo e imparare ad averne sempre massima cura.

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