L’auto in formato elettrico. L’ex ministro Giovannini: «Non si tornerà indietro»

All’Ambrosetti Enrico Giovannini, ex ministro, fondatore dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. «I biocombustibili? Inquinano meno, ma non sono a emissioni zero. La filiera dell’automotive deve riconvertirsi»

Dall’elettrico non si torna indietro. La trazione a motore endotermico è già stata archiviata sia dalle scelte legislative europee e non solo, sia dallo sviluppo deciso per il prossimi decenni delle principali case di produzione delle auto» è la dichiarazione di Enrico Giovannini, già Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, intervenuto a latere del Forum Ambrosetti di Cernobbio. Ha cofondato ed è direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile.

La rivoluzione dell’auto è già iniziata: è irreversibile?

L’Europa non è isolata nella scelta di una drastica riduzione dell’inquinamento da trasporto privato: dalla Corea del Sud al Canada, al Regno Unito, i grandi paesi industrializzati sono allineati. Quasi tutti i principali paesi del mondo hanno scelto di mettere fuori legge le immatricolazioni di auto inquinanti al tubo di scappamento tra il 2030 e il 2040. In questa direzione si sono mossi anche i produttori di automobili. Le grandi case automobilistiche e i marchi più importanti hanno chiaramente scelto il tipo di futuro verso cui hanno deciso di incamminarsi. Di fatto, in concreto e realisticamente, l’unica soluzione percorribile al momento è il motore elettrico. Con un’unica eccezione, quella della casa giapponese Toyota che invece investe sull’idrogeno. In Italia, secondo il regolamento dell’Unione europea e salvo revisioni nel 2026, a partire dal 2035 saranno messe in vendita solo auto nuove a emissioni zero al tubo di scappamento. Questo significa che le auto classiche a motore endotermico continueranno a circolare fino a quando i loro proprietari lo vorranno, elemento colpevolmente trascurato da chi si oppone alle decisioni dei governi europei.

Fatto salvo una serie di limitazione alla circolazione delle auto inquinanti che i diversi comuni stanno prendendo, è una strategia che incentiva di fatto l’acquisto di auto elettriche?

C’è una precisazione importante da aggiungere: il regolamento europeo approvato qualche mese fa non parla di auto elettriche ma di auto ad emissioni zero.

Cosa significa?

Se in futuro verrà sviluppata una nuova tecnologia per i motori delle auto ugualmente ad emissioni zero, in alternativa al sistema elettrico, non c’è nessun ostacolo al suo utilizzo. La scelta dell’Ue rispetta quindi la cosiddetta neutralità tecnologica e non una specifica tipologia di motore. Il requisito è che siano ad emissioni zero non solo di anidride carbonica, ma anche degli inquinanti che determinano forti danni per la nostra salute.

Quali alternative realistiche esistono oggi, nel rispetto di quei parametri?

Al momento l’unica tecnologia che consente di avere emissioni zero al tubo di scappamento è quella elettrica ed è la ragione per cui la proposta di riconoscimento della possibilità di utilizzare i biocombustibili e continuare così a mantenere la struttura dei motori endotermici non è stata approvata in sede europea. Questi carburanti, infatti, pur riducendole significativamente, non sono a emissioni zero.

Però sono stati invece approvati i carburanti di sintesi proposti dalla Germania, come mai?

Si tratta di una tipologia che, in teoria, potrebbe essere applicata ai motori endotermici e con emissioni zero, ma al momento non esiste un mercato per gli e-fuel in quanto i costi sono altissimi. Se un giorno saranno resi accessibili, potranno essere impiegati, ma c’è tanto lavoro di ricerca da fare per rendere questa soluzione applicabile su larga scala.

In sede europea è stata avallata una decisione che ha penalizzato parte della manifattura italiana nella filiera dell’automotive, perché?

In primo luogo, bisogna ricordare che nell’Unione europea le decisioni le prendono i governi e, come sempre, si è trattata di una scelta di compromesso. Il regolamento europeo era stato approvato, di fatto, nel corso del 2022 e nei mesi scorsi è stato posto il timbro finale, al punto che la modifica chiesta e ottenuta dalla Germania non è stata inserita nel regolamento, ma nelle considerazioni poste nell’introduzione al documento. Nessuno degli altri governi ha messo in discussione il principio fondante dell’intera norma, cioè che le emissioni delle auto dovranno essere pari a zero.

Durante il Governo Draghi, la posizione espressa dal Consiglio europeo fu negoziata duramente dal ministro Cingolani, che ottenne alcuni importanti vantaggi per il nostro Paese, tra questi la possibilità di proseguire a produrre auto a combustione interna per le piccole e prestigiose produzioni di marchi storici come, per esempio, la Ferrari. Inoltre è stato ottenuto il rinvio al 2040 del divieto di immatricolazione per i veicoli commerciali leggeri a motore endotermico. Anche per questo, nei mesi scorsi gli altri governi si sono opposti a riaprire il testo del regolamento, come richiesto dall’attuale governo italiano.

È stato valutato il danno alle aziende manifatturiere dell’automotive in vista del 2035?

L’Italia da tempo ha ridotto la produzione in ambito automotive rispetto a tanti anni fa. Al contrario il nostro Paese gioca un ruolo importante nella fornitura di componenti per le imprese di automobili, tedesche e non solo. È la componentistica che ha un ruolo estremamente importante per l’industria manifatturiera italiana. Fermo restando che, come ho detto, le auto a motore endotermico resteranno in circolazione per molti anni, e quindi avranno bisogno di ricambi, se gran parte della filiera italiana dell’automotive fornisce componenti alle case automobilistiche tedesche e queste decidono di produrre motori elettrici, bisogna soddisfare questa domanda, magari aiutando la componentistica italiana a spostarsi su questa tipologia di motori. Lo stesso produttore ex-nazionale di riferimento, Stellantis, ha deciso di investire sulle auto elettriche, ma è evidente che è in ritardo rispetto ad altri, forse a causa della posizione dell’ex amministratore delegato Marchionne, che non credeva nella soluzione del motore elettrico.

Si sbagliava?

Non c’è dubbio che la transizione ecologica cambierà in modo significativo il settore dell’auto e in generale dei trasporti. Per questo l’intero comparto va accompagnato nel modo migliore possibile alla riconversione, considerando il sistema dei trasporti terrestri nel suo complesso, guardando non solo le auto private, ma anche le moto, gli autobus, i veicoli commerciali leggeri e quelli pesanti. In questo modo la prospettiva di sviluppo può cambiare ed è proprio questo approccio complessivo che il ministero che ho guidato ha adottato: ad esempio, abbiamo realizzato un rapporto sulla decarbonizzazione dei trasporti nel loro complesso, ritenuto così valido che è stato richiesto da altri paesi dell’Unione europea.

Qual è il cambiamento che introduce una visione d’insieme?

Ad esempio, in Italia dobbiamo sostituire decine di migliaia di autobus in direzione ecologica. Oggi nel nostro Paese quasi non si producono autobus elettrici o a idrogeno. Se invece le nostre industrie li producessero, molta della componentistica che oggi è focalizzata sulle auto potrebbe invece orientarsi verso la produzione di autobus, oltre che verso i veicoli commerciali leggeri e pesanti. Per questo abbiamo previsto incentivi e investimenti pari a un miliardo all’anno fino al 2030 per l’intero settore automotive, a cui ho aggiunto un fondo di due miliardi per la mobilità sostenibile comprendendo anche navi e aerei. In particolare, con il Pnrr è stato incentivato l’acquisto di autobus green per i prossimi anni, ma sono stati messi a disposizione anche 300 milioni di euro per la produzione di bus ecologici in Italia. La misura ha stimolato l’attività di un’impresa a Foggia che ha avviato l’assemblaggio di questa nuova generazione di bus, purtroppo usando, per ora, componenti prodotti all’estero. Un esempio per illustrare come, se invece di concentrarci solo sull’auto, considerassimo l’intero settore automotive, grazie a politiche economiche e industriali integrate, si aprirebbero opportunità nuove per le imprese.

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