Marinella, il re delle cravatte, lancia un appello: «Bisogna salvare il lavoro manuale»

L’imprenditore napoletano, re delle cravatte, non riesce a trovare giovani interessati a imparare un mestiere. «Il valore del Made in Italy è tutto nell’artigianalità. Il mio progetto è creare la prima università del saper fare»

Abbiamo bisogno del lavoro delle mani». Maurizio Marinella, terza generazione alla guida dello storico brand di cravatte napoletano che oggi vende le sue cravatte a Milano, Roma, Tokyo, New York, Parigi, Ginevra, Barcellona e Londra, si è più volte fatto portavoce delle difficoltà che le realtà artigianali incontrano oggi: prima fra tutte, la carenza di giovani apprendisti desiderosi di imparare il mestiere.

Cosa la spinge a lanciare questo appello?

Il lavoro delle mani sta scomparendo. Cerco giovani lavoratori specializzati e a Napoli, città che ha tanta disoccupazione, non li trovo. I ragazzi non vogliono più fare questi antichi mestieri, eppure l’Italia è ricca di realtà artigianali che, se non vengono aiutate, alimentate e supportate, sono destinate a finire. Ogni regione è forte in un proprio campo. Pensiamo a Firenze e a chi lavora il cuoio, a Venezia e al vetro soffiato, alle Marche e alle scarpe realizzate su misura e ancora a Napoli e alle grandi sartorie. È un peccato che queste professioni finiscano. Sono convinto che il valore aggiunto del Made in Italy sia la sapienza artigiana che è patrimonio dell’italianità, come per esempio, quella del guantaio o dell’ombrellaio, che stanno scomparendo. L’ultimo artigiano che a Napoli realizza ombrelli a mano ha 92 anni ed è preoccupato perché la sua bottega non è strutturata per continuare, una volta che deciderà di interrompere la propria attività. Noi facciamo dei corsi interni ogni tre mesi. Cerchiamo di avvicinare le ragazze perché, nel nostro caso, si tratta di un lavoro prevalentemente femminile e quest’anno, dopo aver messo numerosi annunci, alla fine siamo riusciti ad intercettarne tre. La situazione non riguarda solo Napoli, ma è generalizzata e coinvolge tutti i distretti produttivi; è così a Biella, a Como. È un peccato perché l’Italia è ricca di artigianato fatto a mano. Continuando in questo modo andremo sempre di più verso un Paese di cose pre-organizzate, pre-strutturate, pre-fatte e questo ci fa soffrire e ci dà grandi dispiaceri.

Quale potrebbe essere a suo parere la causa di questo disamore da parte dei giovani per le professioni che richiedono manualità?

Prima di tutto è un fatto culturale. I percorsi di studio sono proiettati verso altri mestieri e le attività che costituiscono il nostro vero Dna italiano stanno iniziando ad avere difficoltà a reperire ragazzi. Bisognerebbe iniziare dalle scuole a raccontare che non tutti possiamo essere amministratori delegati, medici o professionisti; c’è anche un’altra Italia che può essere altrettanto apprezzata e che può dare lavoro a tantissima gente.

Mi sembra un controsenso: l’Italia è il paese della disoccupazione e quando vogliamo assumere delle persone, non riusciamo a trovarle. C’è qualcosa che non va.

Il prossimo anno festeggeremo 110 anni di attività: un mestiere che la mia famiglia da tre generazioni fa con passione e con il desiderio di trasmettere un valore, quello del Made in Italy, che è sempre più complicato fare senza manodopera. La nostra è la storia di un piccolo miracolo: a Napoli, dove tutto fondamentalmente è difficile, con 20 metri quadrati di negozio, siamo riusciti ad arrivare alla quarta generazione, mentre di solito queste aziende familiari fanno fatica ad arrivare alla terza. Siamo arrivati alla quarta non con il fiato sul collo, ma con una grande voglia di andare avanti e crescere ancora; possiamo farcela ma, ripeto, è necessario trovare manodopera specializzata.

Un consiglio che si sente di dare alle famiglie e alle scuole?

Penso che si debba trasmettere ai giovani l’idea che lavorare è una bellissima emozione e lavorare sull’artigianato è ancora più bello perché vedi nascere dalle tue mani oggetti sempre diversi e unici; si tratta di una creatività che solamente noi italiani in questo momento riusciamo ad esprimere. Ecco perché i grandi colossi stranieri della moda hanno un occhio attento su tutto quello che noi facciamo. Abbiamo aziende storiche, abbiamo manualità incredibili; ogni regione ha centinaia di produzioni straordinarie che rappresentano il tessuto di quel territorio ed è un peccato non avere un’attenzione particolare per tutto quello che abbiamo fatto per tantissimi anni. Per questo, in collaborazione con la facoltà di Architettura, sto cercando di aprire a Napoli una “Università degli antichi mestieri”, un luogo dove poter tramandare questo sapere e questo valore. Si tratta di un progetto che avevo già proposto al ministro Giancarlo Giorgetti quando si occupava di attività produttive e che oggi ho riproposto a Adolfo Urso, ministro per le imprese e il Made in Italy. Si tratterrebbe di far nascere una “università” replicabile anche in altri territori italiani recuperando in ogni regione le eccellenze per poi stimolarle; organizzando centri di raccolta e di studio, avvalendosi dell’insegnamento dei vecchi maestri in grado di trasmettere la passione per questo lavoro delle mani che, come non mi stanco di ripetere, sta scomparendo.

La risposta da parte delle autorità è positiva; il problema è che ogni anno e mezzo cambia un governo, i progetti decadono e ricominciare ogni volta diventa impegnativo.

Sappiamo però che non per tutte le professioni i giovani sono difficili da trovare e la vostra azienda ha recentemente assunto giovani collaboratori.

Subito dopo il Covid abbiamo assunto una quindicina di ragazzi tutti giovanissimi. Ragazzi provenienti da master e corsi specifici che ci stanno aiutando ad individuare nuove strategie di marketing; con loro abbiamo intrapreso un percorso verso l’innovazione e la digitalizzazione, abbiamo un nuovo approccio nella catalogazione dei prodotti e abbiamo puntato ad un nuovo stile nella comunicazione.

Oltre che nei giovani la Marinella crede molto anche nell’importanza della salvaguardia dell’ambiente. Come vi state muovendo?

L’apporto di questi ragazzi è particolarmente utile per seguire tutto il mondo del green e dell’ecosostenibilità. Siamo lanciatissimi tanto che dedicheremo un settore della E.Marinella alla sostenibilità e proprio i ragazzi giovani saranno chiamati ad approfondire le conoscenze di questo mondo. Abbiamo creato cravatte ecosostenibili in collaborazione con Orange fiber, società siciliana che estrae dalla buccia delle arance lasciate a macerare, una fibra che, manipolata insieme ad una piccola percentuale di seta, dà vita a un tessuto molto particolare. È un prodotto molto interessante. ma non è mai andato in commercio, perché, ogni volta che realizziamo le cravatte, il ministero dell’ambiente le compra per regalarle, raccontandone la storia, durante i viaggi e i meeting in Italia e all’estero.

Siamo scatenati sull’ecostenibilità e per ridurre drasticamente l’impronta sul nostro ecosistema stiamo realizzando buste di cellophane per le cravatte che si autodistruggono una volta che si toglie la cravatta e le si accartoccia. Si tratta di bustine di cellophane realizzate con un materiale ecosostenibile composto da polimeri che fanno sì che le buste si distruggano entro tre anni.

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