Più ascolto e condivisione: si fa largo nelle aziende una leadership “gentile”

La svolta Con il Covid si è affermato un nuovo approccio imprenditoriale. In passato si diceva ai collaboratori cosa fare, oggi prevale il confronto

Capace di ascoltare, attento alle esigenze dei singoli e del gruppo, motivatore, più simile ad un coach che ad un capo: sono alcune delle caratteristiche del leader aziendale “gentile” o “affettivo”.

Un approccio imprenditoriale sempre più diffuso ed oggetto di numerose analisi. Secondo gli esperti, infatti, la pandemia ha accelerato (come avvenuto in molti ambiti) un processo che era già in corso: non è più solo il collaboratore a adattarsi all’azienda in cui lavora, ma è anche la stessa impresa, attraverso il suo leader, ad andare incontro alle esigenze dei dipendenti.

L’obiettivo

L’obiettivo è duplice: da un lato non perdere risorse preziose in un periodo storico caratterizzato da una sempre maggiore difficoltà nel reperimento di personale specializzato; dall’altro lato ottenere risultati migliori attraverso una valorizzazione dei talenti.

Il tema è ampiamente affrontato nel libro “Leadership affettiva – Imparare a essere buoni leader per un futuro sostenibile” scritto da Mauro Dotta per Edizioni Este. Tra le caratteristiche tipiche di un leader “gentile” evidenziate da Dotta, esperto del mondo del lavoro con 30mila follower su LinkedIn, ci sono l’autenticità, il sapersi fare da parte, l’ammissione della vulnerabilità, l’efficacia dell’umorismo e l’importanza dell’ascolto come prima forma di comunicazione.

«Siamo usciti da un periodo – dice Dotta – in cui si adottava un concetto di leadership finalizzata a dire alle persone cosa fare; ora, invece, si è ribaltato tutto: sono le persone che devono contribuire fortemente nella guida del leader». Di conseguenza è necessaria «una leadership affettiva, che parte da un presupposto di ascolto. Oggi è sempre più importante – prosegue l’esperto - che le persone siano valorizzate per la loro intelligenza e per le capacità che sono in grado di portare nel lavoro: i ritmi, la frenesia, la tecnologia e i costanti cambiamenti fanno sì che il leader debba valorizzare al massimo i collaboratori, i quali, quando sono liberi, possono portare il loro apporto al meglio».

In passato ha funzionato o comunque si è imposto il modello dell’uomo solo al comando. Oggi questo paradigma non solo non è più accettato e condiviso ma viene anche considerato poco efficace. «Nel contesto attuale – aggiunge ancora Dotta – l’uomo solo al comando non va molto lontano e i collaboratori seguono il leader se questo è umano, per esempio mostrando autenticità, condividendo le paure, le imperfezioni, la vulnerabilità anche pubblicamente, sui social. Bisogna buttare giù le barriere – scrive l’esperto nel suo libero - e lasciare spazio all’affettività, affinché le persone possano avvicinarsi ed è inoltre fondamentale far corrispondere le azioni alle parole, nella quotidianità».

Anche Dotta evidenzia come questo approccio sia tanto più importante in una fase storica come quella attuale, caratterizzata da un rovesciamento dei ruoli nel mondo del lavoro. «Ci troviamo davanti giovani con competenze straordinarie – conclude Mauro Dotta - ed è importante che siano liberi di esprimersi, altrimenti ti lasciano; il leader, quindi, deve lavorare su questi talenti, dando spazio per portare nuove idee e generare valore nel business».

Le regole

Secondo Marco Lombardi, professore di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, «la qualità del leader si misurerà sempre più con la sua capacità di mantenere relazioni efficaci».

Il docente ha fatto parte di un team di esperti che ha individuato dieci regole fondamentali per diventare un leader di successo. Le parole chiave sono dieci e le sviluppiamo nell’infografica qui a lato.

Il tema è stato affrontato anche da Paolo Bruttini e Massimo Lugli nel saggio “Nudge solutions program. L’approccio gentile, come si legge nella nota di presentazione del libro, si articola rispetto a tre elementi fondamentali. In primis la tenerezza che permette di avvicinarsi al collaboratore e di mettersi nei suoi panni; quindi il rispetto verso l’altro in quanto persona, che nella relazione capo-collaboratore si traduce nel supporto e nell’aiuto che il primo deve al secondo per risolvere i problemi di tutti i giorni, favorendo i processi di responsabilizzazione e creando la fiducia necessaria al miglioramento continuo dell’individuo.

Infine la delicatezza, intesa come capacità di accettare tempi e modalità del collaboratore (soprattutto dei più giovani) non imponendosi e non invadendo. Con la pandemia del resto sono andati in crisi molti modelli, perché sono venuti meno processi usuali come il controllo delle persone esercitato in modo diretto e fisico. I leader hanno dovuto rivedere il proprio ruolo e il modo di lavorare attraverso strumenti come le piattaforme di comunicazione trovandosi di fronte, nel primo lockdown almeno, a persone disorientate, spesso traumatizzate. Da lì è nata l’esigenza di un linguaggio nuovo, di un manager che deve stare più attento alle relazioni .

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