Tessile di Como, il valore chiave è la filiera. Franco Mantero: «Decisivo salvare i piccoli»

Franco Mantero, presidente di Mantero Seta, sulle strategie per dare continuità al distretto serico comasco: «Diamoci una svegliata, bisogna proteggere gli anelli deboli e salvaguardare l’integrità della catena produttiva»

Reinventare Milano Unica per valorizzare la filiera tessile e agire per proteggere gli anelli più deboli e preziosi della supply chain, prima che sia troppo tardi: è la visione di Franco Mantero, presidente di Mantero Seta, gruppo di Grandate in piena ripresa nel 2023, dopo un 2022 molto difficile in particolare per il forte aumento dei costi legati all’energia e alle materie prime.

Qual è in questa fase la priorità per il sistema tessile comasco?

Il ruolo del distretto serico dovrebbe essere quello di valorizzare non tanto le singole attività, ma il loro insieme. Per la maggior parte le realtà che partecipano della filiera sono aziende che non si presentano direttamente sul mercato. Sono nostri fornitori o fornitori di fornitori, si tratta di piccole e micro aziende fondamentali per il processo produttivo. Compito del distretto, che è poi anche quello delle aziende principali, è di valorizzare tutta la filiera tessile serica.

La salvaguardia dei distretti tessili deve essere uno degli obiettivi delle aziende che hanno una dimensione come quella di Mantero e che nell’ambito della filiera svolgono un ruolo di rilievo.

Tutte le imprese tessili importanti sono molto sensibili e attente a quello che succede nella catena di fornitura, ma qual è il passo successivo che ritiene necessario?

L’idea è di preservare la qualità dei prodotti ponendo attenzione anche alle imprese che non sono sul mercato finale ma che sono fondamentali per realizzare quei tessuti che poi portiamo nel mondo. È auspicabile far nascere aggregazioni di impresa con l’obiettivo di rinforzare un processo produttivo e questo dovrebbe ora essere un obiettivo primario.

Un esempio di questa cura è la partecipazione nostra e di Ratti a Foto Azzurra, storica azienda familiare di Cassina Rizzardi, subfornitore che realizza quadri per la stampa tessile. È stata un’operazione di partecipazione nel capitale che ha avuto l’obiettivo di dare maggiore solidità a Foto Azzurra. Condividere progetti e idee attraverso la collaborazione tra competitor ha come scopo comune quello di preservare un anello fondamentale per la filiera dei prodotti del distretto comasco, ma anche un punto di passaggio indebolito dai cambiamenti che il settore sta affrontando. Servono tanti progetti o idee come è accaduto nel caso di Foto Azzurra.

L’operazione di partecipazione a Foto Azzurra ha fatto “scuola”?

Ha indicato una possibile direzione, ma perché altri interventi di questo tipo avvengano ci vuole ancora tempo, sono processi lenti, credo che stiano accadendo, magari anche in altri modi.

Quello che è importante di questa esperienza è che si è entrati in supporto dell’azienda con un capitale in minoranza. Inoltre si è fatto insieme: due aziende importanti del nostro settore su alcuni argomenti come la supply chain hanno deciso di stringesti la mano e di agire in accordo perché, se in quella fase produttiva si crea un problema, è un problema di tutti.

Come dovrebbero avvenire le aggregazioni o le fusioni?

La consapevolezza dell’importanza della filiera è ormai evidente, sono poi diversi i modi per immaginare le aggregazioni di aziende a tutela delle più piccole.

Il processo di concentrazione delle filiere potrebbe assumere diverse forme, non è questo il tema centrale, quello che è importante è preservare la filiera, è la prima cosa. L’entrata nel capitale con una quota minoranza o di maggioranza non è rilevante, è solo uno strumento che può variare a seconda delle circostanze. Conta invece l’obiettivo di tenere viva e rinforzare tutta la catena di fornitura del mondo della moda che è fatta di anelli che rischiano di entrare in difficoltà.

Quali sono in questo momento gli ostacoli soprattutto per le pmi della moda?

Per gli obiettivi di sostenibilità Esg le normative si fanno sempre più restrittive ed esigenti. Per poter stare sul mercato serve avere una sovrastruttura importante, personale idoneo anche a gestire una serie di incombenze burocratiche legate alle certificazioni e la possibilità di fare investimenti. Un’azienda che si sta avvicinando ai cento milioni di fatturato come la nostra può sostenere tutto questo, ma i margini bassi delle aziende più piccole non consentono loro di giocare questa partita. Quello che è uno dei nostri punti di forza, la filiera produttiva, rischia di diventare un elemento di debolezza.

I brand della moda potrebbero intervenire?

In questo momento ci sono operazioni da parte dei grandi marchi francesi che dimostrano grande attenzione verso la catena di fornitura del mondo della moda. Si comprende sempre di più il valore delle competenze delle piccole realtà manifatturiere. Se si muovono per proteggerle vuole dire che ci vedono un interesse. Noi che di questo sistema di fornitura facciamo parte da sempre è bene che ci svegliamo perché salvaguardare gli anelli deboli della catena è certamente di nostro interesse.

In questa logica quale potrebbe essere il ruolo della fiera Milano Unica?

Non dovrebbe essere quello di riempire gli spazi degli stand, così come l’obiettivo delle aziende non è tanto quello di andare a vendere con dei campionari perché ormai, in quella occasione, non si conclude molto.

Nel corso delle fiere non si fanno più gli ordini, se non in misura marginale, è cambiata l’idea stessa di manifestazione fieristica. Piuttosto dovremmo partecipare a Milano Unica con l’obiettivo di mettere in mostra il gruppo, il distretto.

Se Milano Unica si ponesse come obiettivo quello di diventare strategica per i distretti tessili, potremmo partecipare in una modalità diversa, in grado di dare evidenza alla filiera serica.

In un contesto ripensato con questa finalità ogni distretto avrebbe modo, in quella occasione, di essere da una parte valorizzato e dell’altra di diventare a sua volta un punto di forza per la manifestazione.

Valorizzando Milano e disertando Parigi?

Non è ragionevole decidere di non andare a Premiere Vision per valorizzare Milano Unica, piuttosto l’idea è rendere la fiera milanese più forte, convincente e, se diventa la manifestazione di maggior rilievo, Parigi perderà di valore in modo automatico e naturale.

Perché questo accada serve un’idea innovativa. Se la fiera rimane un momento in cui l’azienda presenta se stessa ai suoi clienti, fedele a un vecchio modello, questo non basterà a rendere Milano diversa e più interessante. Invece, prendendo consapevolezza del suo ruolo di valorizzazione di un intero sistema industriale e manifatturiero, la fiera dovrebbe riuscire a trasformarsi.

A quel punto tutte le aziende, anche le più importanti, si accorgeranno che non è la grandezza del singolo stand a fare la differenza, ma l’apparire ai clienti con la forza di un sistema di filiera.

Come può la fiera milanese fare questo salto qualitativo?

Serve un tipo di estetica diverso e un concept degli spazi differenti. Serve raccontare un mondo, quello tessile, e a quel punto Milano Unica potrebbe anche rivelarsi interessante per il pubblico e non solo per gli addetti ai lavori. Per esempio il Salone del mobile di Milano si è trasformato ed è stato capace di valorizzare tanto la singola azienda quanto il fascino dell’artigianalità italiana nel suo insieme. Hanno trovato una chiave di interpretazione del settore. Non è detto debba essere la stessa per il tessile. Quello che insegna l’esperienza milanese è che bisogna sforzarsi di pensare alla manifestazione in un altro modo e la nostra interpretazione potrebbe essere quella di mettere in scena tutta la serie di passaggi che portano a un tessuto di alta qualità. Se la formula risulterà, nel tempo, efficace e compresa, Parigi, che nel frattempo si è addormentata, diventerà sempre meno interessante.

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