Imprese e Lavoro / Erba
Lunedì 22 Dicembre 2025
Tra Medio Oriente e Usa. L’evoluzione globale del design Made in Italy
L’intervista Carola Bestetti, alla guida della storica Living Divani di Anzano. «La missione a Riyadh è stata un’opportunità preziosa per il comparto»
Tra Medio Oriente e Stati Uniti, il design italiano alla prova dei grandi cambiamenti globali: tra gli interpreti di questa evoluzione c’è Carola Bestetti, alla guida di Living Divani, storica azienda di imbottiti di Anzano del Parco.
Ha partecipato personalmente all’evento “Red in progress. Salone del Mobile.Milano meets Riyadh”: perché questa decisione e che impressione ne ha ricavato?
Ho voluto andare di persona perché è un mercato che non avevo mai conosciuto direttamente. È stato anche il mio primo viaggio in Arabia Saudita. Credo che, soprattutto nella fase iniziale di un contatto con un nuovo mercato, sia fondamentale vedere con i propri occhi, respirare il contesto, parlare direttamente con gli interlocutori locali. È stato molto interessante e, per certi versi, sorprendente.
Si tratta di un’opportunità importante per tutto il comparto dell’arredo e del design italiani. Il fatto che il Salone del Mobile, insieme alle istituzioni, sia riuscito a presidiare questo momento storico è stato decisivo: ha dato un’accelerazione concreta alla possibilità di creare un dialogo strutturato tra il Made in Italy e un mercato in fortissima trasformazione.
Quanto è importante anche per il Made in Italy la Saudi Vision 2030, il programma strategico promosso dal Regno dell’Arabia Saudita per diversificare l’economia del Paese?
Moltissimo. I numeri sono impressionanti: basti pensare al programma che prevede la costruzione di oltre 360 mila nuove camere per l’ospitalità in soli cinque anni e alle potenzialità di questo sviluppo, senza nemmeno considerare il residenziale e il retail. Siamo di fronte a uno sviluppo importante e unico. È una spinta enorme sul real estate e questo apre opportunità straordinarie anche per chi, come noi, lavora sull’arredo di qualità.
Questo scenario richiede un adattamento del design italiano al gusto locale?
Più che un adattamento, parlerei di un dialogo. Visitando alcuni grandi progetti ho visto mock-up di ville su uno, due o tre piani ho notato segnali molto interessanti: dai built-in agli arredi, emerge una ricerca di maggiore pulizie di linee, uno stile più disegnato, lontano dall’immaginario di un gusto eccessivamente decorativo. C’è uno spostamento verso un’estetica più essenziale, probabilmente legato anche alle nuove generazioni che studiano all’estero e poi rientrano portando con sé nuovi riferimenti culturali. È un processo simile a quello visto in Cina una quindicina d’anni fa.
Anche il confronto con architetti e interior designer va in questa direzione?
Assolutamente sì. Nelle piattaforme di dialogo organizzate si percepisce una grande apertura verso un gusto più internazionale. C’è curiosità, voglia di confronto e un interesse reale per il design italiano, che viene visto non solo come prodotto, ma anche come portatore di valori.
In Arabia Saudita e nel Middle East esistono competitor forti per il Made in Italy?
Il Medio Oriente è molto differenziato. Se guardiamo a Dubai, il mercato è già più maturo; in altre aree come Libano o Israele i gusti sono molto allineati a quelli europei. In Arabia Saudita, invece, la sfida principale sarà mostrare, rendere evidente il valore del nostro design. C’è una forte presenza di prodotto made in China e made in India, spesso con un’estetica che imita quella occidentale ma con un contenuto qualitativo molto diverso. Sarà fondamentale spiegare la differenza, far comprendere il valore intrinseco del Made in Italy: materiali, manifattura, durata, cultura del progetto. Non è un prodotto per tutti, ma deve essere compreso.
Living Divani guarda già alle prossime tappe, come il Salone di Riad 2026?
Sì, questo primo evento “Red in progress” è stato un punto di partenza. Serviva a gettare le basi per una presenza più strutturata nei prossimi anni e sicuramente guardiamo con interesse alle future edizioni.
Intanto il mercato degli Stati Uniti resta centrale nelle vostre strategie di internazionalizzazione?
Non se ne può prescindere. È un mercato maturo, molto consapevole del valore del Made in Italy, ma non ancora completamente esplorato. Spesso ci si concentra solo sulle due coste, mentre esistono molte aree interne con grandi potenzialità, magari più conservative, ma interessanti da raggiungere attraverso progetti e studi di architettura.
I dazi Usa hanno rallentato il mercato?
Hanno creato incertezza, più che un impatto diretto sui nostri prodotti. Questo ha portato a una fase di attesa nelle decisioni di investimento. Ora però si intravedono segnali di ripresa e speriamo che il 2026 sia un anno più positivo.
Il Salone del Mobile è sempre più itinerante: è la formula giusta?
Tutto è migliorabile, ma il lavoro fatto è stato egregio. Riyadh aveva un’impostazione molto business oriented, con incontri programmati. Miami, invece, attraverso Art Basel, ha puntato più sul networking e sulla visibilità culturale. Sono approcci diversi ma complementari. Il Salone ha saputo elevare il proprio ruolo, diventando una piattaforma culturale capace di creare connessioni solide e di lungo periodo con i territori. Ed è proprio questa visione che rende il progetto davvero efficace.
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