
Imprese e Lavoro / Como città
Lunedì 21 Luglio 2025
Valutare la propria impresa. È la chiave per la crescita
Mauro Bini (Università Bocconi) invita le imprese a orientare la gestione delle aziende alla creazione di valore. «Spesso non c’è proporzione tra capitale investito e reddito generato, ciò che non si misura non si controlla»
Come valutare correttamente il potenziale di crescita di un’impresa è il focus dell’intervento che Mauro Bini, Università Bocconi e Acb Valutazioni, ha tenuto nel corso del convegno “Il valore dell’impresa: crescita aziendale, Turnaround, investimenti in tempi di crisi, mercati e quotazione e passaggi generazionali” che si è tenuto a Villa Sucota a Como. L’evento è stato promosso da Acb Valutazioni, Studio Ramiro Tettamanti e associati e da ComoInsight. Il professor Bini ha sottolineato l’importanza di orientare la gestione aziendale alla creazione di valore e di adeguare il modello di business per mantenere una redditività adeguata al costo del capitale.
Perché molti imprenditori faticano a misurare il valore della propria azienda?
È opinione condivisa che la gestione di qualunque azienda debba essere orientata alla creazione di valore. Ma gestire il valore significa misurarlo, perché ciò che non si misura non si controlla e ciò che non si controlla non si gestisce. Purtroppo, molti imprenditori dicono di voler creare valore, ma non hanno mai misurato il valore della propria azienda. Le capacità, le quote di mercato, l’innovazione si devono poi tradurre in valore economico. Ciò che noi chiamiamo i driver di valore, ovvero gli elementi che formano il valore, alla fine devono essere misurati. Ho riportato il caso di una società di grande distribuzione americana fallita, nonostante avesse introdotto gli scanner alle casse. Questo per dire che l’incapacità di misurare il valore deriva dal fatto che spesso le imprese fanno investimenti non proporzionati al contributo di questi investimenti alla capacità di reddito dell’impresa. In altre parole, le imprese spesso hanno troppo capitale investito per la capacità di reddito che hanno.
Qual è la differenza tra le aziende italiane e quelle Usa circa il rapporto tra capitale investito e capacità di reddito?
In genere le aziende americane sono molto più snelle, con meno capitale investito e più capacità di reddito, mentre le imprese di casa nostra sono più appesantite con meno capacità di reddito. Questo perché le imprese americane devono confrontarsi con i mercati finanziari, che chiedono un capitale investito proporzionato alla capacità di reddito. In Italia questo è molto meno frequente. È un fattore culturale: gli imprenditori italiani tendono a tenere le aziende, a non venderle, piuttosto rimangono piccole con l’idea che piccolo è bello, e resistono due o tre generazioni, ma con capitale investito eccessivo e redditività non adeguata a un mercato che cambia.
La competizione globale sta spingendo le imprese a riconsiderare i propri modelli di business: qual è la maggiore difficoltà in questo processo?
Il cambiamento del modello di business richiede di ripensare il capitale investito, a quali siano le vere risorse. Sarebbe opportuno orientarsi verso meno risorse tangibili, meno macchine, per semplificare, e più idee. Per noi è invece importante che l’edificio, per esempio, sia di proprietà: è un atteggiamento radicato. Come nella novella “La roba” di Giovanni Verga, il contadino ritiene le proprietà l’unica cosa che conta. Ma lo stabilimento, il capannone non possono essere le uniche garanzie di ricchezza dell’impresa in un mercato globale. Nessuno potrà avere un vantaggio competitivo solo attraverso un investimento in macchinari senza una capacità di far lavorare quei macchinari in un certo modo. I nostri distretti industriali soffrono un po’ di miopia. Ma mentre l’impresa di grandi dimensioni è assistita da consulenti, nelle piccole aziende spesso manca l’interlocutore adeguato e non si riescono a cogliere gli elementi di discontinuità, nonostante l’imprenditore si renda conto che il mercato sta cambiando, ma spesso è troppo tardi. Siccome il valore di un’azienda è funzione di una capacità di reddito prospettica, misurare il valore significa tracciare il futuro dell’azienda all’imprenditore, che inizia a capire quali sono i veri profili di rischio. Quando un imprenditore chiede una valutazione, significa che comprende il rischio.
Per la valutazione di un’azienda, perché è pericoloso basarsi sui multipli medi?
È necessario essere cauti nel valutare l’azienda sulla base di multipli medi di società o di transazioni comparabili perché il valore d’azienda è in funzione della capacità di creare reddito, delle sue prospettive di crescita, del rischio e dell’intensità di capitale, ossia di fattori specifici dell’azienda stessa. Utilizzare delle medie finisce per sopravvalutare imprese deboli e sottovalutare imprese forti. Una volta, per esempio, i ristoranti a Milano si vendevano a un valore che era in funzione del numero di coperti perché c’era una certa uniformità. Oggi, in centro, da una parte c’è un McDonald’s e dall’altra il Savini: non ha senso fare la media e dire quanto vale un ristorante in quella zona. Abbiamo assistito a una varietà di modelli di business che porta a una diversità di prospettive di crescita, intensità di capitale, di rischio e quindi a diversificare i multipli. La media ha il grave effetto di sopravvalutare le imprese deboli e sottovalutare le imprese capaci. È un modo sporco e veloce per trovare un valore d’impresa, ma sempre più frequentemente sbagliato. All’interno dello stesso settore convivono imprese con modelli di business diversi; McDonald’s e Savini sono entrambi nella ristorazione, ma sono modelli diversi e non possono essere paragonati.
Quali sono i rischi di non conoscere il costo del capitale per le imprese?
La situazione attuale costringe le imprese ad adeguare il loro modello di business per mantenere una redditività adeguata al costo del capitale, ossia alla remunerazione che qualunque investitore vorrebbe ritrarre dall’azienda considerato il suo profilo di rischio. Gestire un’impresa senza conoscere il costo del capitale espone al rischio di distruzione di valore, ovvero un aumento di capitale investito non adeguato all’aumento del reddito e ai rischi. Una volta bastava fare bene il prodotto, oggi non basta più: bisogna dare il servizio al cliente, operare sui mercati. Le attività di supporto sono diventate importantissime. Le imprese che erano piccole e autosufficienti non lo sono più senza queste attività di servizio a livello internazionale. Le imprese più grandi mettono in gara i produttori fornitori, spuntando prezzi che lasciano margini bassissimi. Questo perché le piccole e medie imprese non sono riuscite ad acquisire una dimensione tale da sviluppare quelle attività di servizio che ormai l’impresa di grandi dimensioni a valle ha sviluppato e interiorizzato. Bisogna crescere di dimensioni, e infatti in alcuni settori abbiamo visto molte fusioni e acquisizioni.
Accade anche nei nostri distretti?
Purtroppo nel Comasco non si vedono ancora imprese leader capaci di avviare questo processo di aggregazione. Aggregare imprenditori tra pari è molto difficile, perché fino a ieri erano concorrenti. Se si comprende qual è il reale valore dell’azienda, molto probabilmente si capiscono quali sono i rischi e le esigenze di cambiamento. Se si è legati alla storia dell’azienda, in qualche modo si è voltati all’indietro. Dobbiamo invece guardare avanti perché se si vuole vendere o valorizzare l’azienda ci si deve proiettare nel futuro e chiedersi se si è in grado di affrontare i rischi, se hanno le risorse sufficienti, se è stato investito il capitale là dove serve, più nelle idee che nelle “cose”. Ricavi e costi sono la manifestazione ultima dei cosiddetti driver di valore, i parametri chiave che definiscono la capacità dell’azienda di offrire un rendimento allineato ai rischi. Zara ha visto crescere di tre volte il suo valore in borsa negli ultimi quindici anni, mentre il suo concorrente H&M lo ha visto ridursi del 15%, grazie a una strategia fondata su una logistica molto efficiente, in grado di ridurre la merce a sconto nei singoli negozi. Oggi la merce a sconto di Zara è un decimo di quella di H&M, con enormi benefici dei margini e dei redditi. Gestire il valore significa individuare e gestire i driver.
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