Imprese e Lavoro / Olgiate e Bassa Comasca
Lunedì 15 Dicembre 2025
Vertical farming: cotone bio e caffè made in como
L’intervista Il polo produttivo realizzato da Planet Farms a Cirimido indicato tra gli hub più avanzati a livello internazionale. «Se il consumatore prova il nostro prodotto, difficilmente torna indietro. Caratteristiche e qualità sono diverse»
Il nuovo polo produttivo a Cirimido di Planet Farms è uno degli hub produttivi più avanzati al mondo per il vertical farming che dimostra essere un metodo flessibile, adatto non solo a insalate ed erbe aromatiche ma anche al cotone e al caffé, come sostiene Luca Travaglini, co-fondatore e Cto di Planet Farms.
Verrà infatti avviata prossimamente, sempre a Cirimido, la costruzione del primo stabilimento al mondo per la produzione di cotone biologico con tecnologia di agricoltura verticale.
Il polo di Cirimido è entrato in funzione in tempi molto rapidi, l’accelerazione si è resa necessaria dopo l’incidente del primo polo di Cavenago?
Lo stabilimento di Cirimido era in costruzione con un timing molto più blando, doveva vedere la luce alla fine dell’anno prossimo. Purtroppo, a seguito dell’incendio che ha colpito il sito di Cavenago nel gennaio dell’anno scorso, abbiamo dovuto concentrarci per far ripartire la produzione nel più breve tempo possibile.
Siamo riusciti a far uscire i primi prodotti da Cirimido già a settembre dello stesso anno, un risultato che era sembrava sarebbe stato impossibile, ma che dimostra la resilienza e la determinazione della nostra squadra. Oggi Cavenago non è ancora pienamente funzionante e a piena capacità; per ricostruire quanto è stato perso ci vorranno ancora uno o due anni.
Qual è la capacità produttiva di Cirimido e quale mercato serve principalmente?
Cirimido ha una capacità produttiva di 1.500 tonnellate all’anno, con una produzione di 75.000 confezioni giornaliere. Serviamo il territorio italiano, ma siamo presenti anche in gran parte della Svizzera, attraverso Coop e Manor, e anche in Inghilterra con Waitrose and Partners. In termini di superficie, lo stabilimento di 11.500 metri quadrati ospita 20.000 metri quadrati di area destinata alle coltivazioni, risultando uno dei più grandi impianti di vertical farming al mondo, con una superficie produttiva equivalente a circa 600 ettari di terreno agricolo tradizionale.
La scelta della location di Cirimido è stata strategica?
Sì. È stata scelta per la vicinanza alla Svizzera e per la qualità del territorio. Cirimido si trova nel cuore della campagna lombarda, all’interno del vivaio Peverelli, uno dei più storici del nord Italia. La sua posizione, lungo l’asse dell’autostrada A9 e vicino ai principali snodi logistici, permette una gestione efficiente dei trasporti. Non è stata una scelta casuale: io e il mio socio Daniele Benatoff siamo legati al territorio comasco da sempre.
Quello comasco è il vostro secondo grande stabilimento, avete apportato delle innovazioni rispetto al primo?
Certo, abbiamo migliorato ulteriormente. Oltre a nuove varietà di ortaggi, siamo riusciti a raddoppiare la shelf life del prodotto, che ora è di 14 giorni. Abbiamo migliorato i livelli di automazione e, soprattutto, incrementato la capacità di crescita e la capacità produttiva. Tutte queste implementazioni sono frutto del lavoro del nostro centro di ricerca interno e la tecnologia, sia software sia hardware, è sviluppata internamente, non dipendiamo da nessun fornitore esterno. Anche per questo oggi siamo, credo, tra i più forti sul mercato internazionale.
Il vostro processo di produzione è totalmente automatizzato, questo come si riflette anche sull’organico necessario per la gestione dello stabilimento?
Il sito è totalmente automatizzato, dalla semina al confezionamento, garantendo tracciabilità ed efficienza. A Cirimido abbiamo impiegate circa 45 persone complessive, considerando anche gli amministrativi. Per quanto riguarda la produzione, solo sei operatori gestiscono le 75.000 confezioni al giorno. In totale, il personale dedicato allo stabilimento è di circa 20 persone, parte di un team di oltre 100 dipendenti di Planet Farms a livello globale.
I prodotti sono confezionati già pronti per il consumo, come avete gestito questo aspetto perché rispettasse la normativa italiana?
Ci siamo basati su dati scientifici e prove che evidenziano come il nostro prodotto, con il processo di coltivazione che effettuiamo, sia pronto per essere consumato e non è contaminato da nulla. La nostra tecnologia, che presidia la catena di produzione nella sua interezza, permette che a Cirimido, per ogni seme che entra, esca una pianta pronta per il consumo e quindi spedita direttamente attraverso la logistica della grande distribuzione. È una filiera totalmente diversa da quella delle verdure confezionate tradizionali, che ha tantissimi passaggi.
Il vertical farming è ancora una tecnologia poco diffusa: qual è la penetrazione di mercato di Planet Farms in Italia?
Oggi il vertical farming rappresenta l’1,6% del mercato totale delle insalate in Italia. Di questa porzione, Planet Farms detiene l’1,4%. I dati che riceviamo mostrano che, una volta che un consumatore prova il nostro prodotto, difficilmente torna indietro perché le caratteristiche e la qualità sono totalmente diverse. Inoltre siamo molto competitivi: nel periodo inflattivo più alto, a luglio 2023, la nostra rete ha registrato un calo del 22% del prezzo di vendita. Ad oggi, i nostri prezzi sono allineati a quelli delle insalate biologiche.
Guardando al futuro, quali sono gli obiettivi di Planet Farms per i prossimi 3-5 anni?
Abbiamo una road map molto ambiziosa. Con un fondo infrastrutturale svizzero, Swiss Life, costruiremo sei stabilimenti sul territorio europeo nei prossimi tre anni. Ma c’è un’altra novità entusiasmante: stiamo per avviare, sempre a Cirimido, la costruzione del primo stabilimento al mondo per produrre cotone con la stessa tecnologia di agricoltura verticale.
Perché produrre cotone biologico in Italia, nella terra della seta?
La coltivazione del cotone rappresenta un problema perché utilizza una grande quantità di pesticidi agricoli. Realizzare cotone a impatto ambientale ridotto, con la nostra tecnologia, significa anche recuperare un tessuto manifatturiero industriale che l’Italia ha perso. La nostra tecnologia ci permette di arrivare alla materia prima per essere tessuta con una sostenibilità mai vista prima. È una sfida, vogliamo dare dignità al nostro Paese ripopolando quella filiera tessile che rischia di disgregarsi. Siamo un’azienda italiana e vogliamo restare in Italia.
Quando prevedete di uscire con il primo prodotto finito in cotone?
Contiamo di presentare il primo prodotto in cotone prodotto a Cirimido al termine del prossimo anno. La costruzione del nuovo edificio sarà avviata verso fine gennaio.
L’incidente a Cavenago del 2024 è stato un evento imprevedibile? E cosa vi ha lasciato in termini di crescita aziendale?
L’incidente non è dipeso in alcun modo da noi o dalla nostra tecnologia. È stata una causa esterna, provocata da un impianto che era stato assemblato male. È stato un momento molto duro, ma ha determinato una crescita esponenziale della società. La resilienza che abbiamo trovato internamente è stata unica; i soci, le persone dell’azienda e la solidarietà esterna ci hanno portato a un ritorno in produzione in tempi che sembravano impossibili. Oggi l’agricoltura, grazie a questa tecnologia, non è più climate driven ma consumer driven: non produciamo più dove ci sono le condizioni climatiche, ma dove serve. Per questo stiamo già lavorando a una ulteriore produzione.
Quale?
Quella del caffè. Anche in questo caso la lavorazione dei chicchi è stata una delle competenze delle imprese italiane che si sono rarefatte nel tempo. Produrre il caffè dove c’è l’expertise per la sua lavorazione significa far rinascere una intera filiera.
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