Un caffè offerto all’evaso: tanto basta per il rinvio a giudizio di una coppia

Dosso del Liro La versione dell’uomo che, con la compagna, verrà processato per aver favorito la fuga dell’evaso: «Si è presentato in casa di pomeriggio già cambiato, con altri vestiti: si è preso una banana ed è andato via»

A processo per un caffè offerto a un evaso. All’apparenza è questo il motivo che è costato il rinvio a giudizio ad Alesandro Ieri e alla sua compagna, Romina Pisolo, di Dosso del Liro, che nel primo pomeriggio del 12 marzo si trovarono in casa Massimo Riella, appena evaso.

E’ vero che lo stesso fuggiasco di Brenzio esordì con un “soo scapà”, ma Ieri, ricordando quel frangente, commenta così: «Come si fa a prendere sul serio Riella? Comunque non posso certo dire di essere suo amico. Lo conosco perché ho gestito per anni un bar sul lungolago di Gavedona e lui entrava spesso a bere il caffè».

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La fuga

Quel sabato di marzo in cui il fuggiasco di Brenzio eluse il controllo di ben cinque agenti penitenziari nei pressi del cimitero di Brenzio, nel pomeriggio venne segnalato al Dosso e Alessandro Ieri ricostruisce così quel quarto d’ora o poco più in cui si trattenne a casa sua: «Eravamo convinti fosse una bimba amica di nostra figlia, che il sabato viene sempre a casa nostra a giocare e così mia moglie, sentendo suonare il campanello, fece scattare la serratura dell’ingresso senza nemmeno chiedere chi fosse. A sorpresa ci trovammo di fronte a Riella, col suo solito fare un po’ guascone, che dopo il “soo scapà” si sedette chiedendoci di offrirgli un caffè. Era vestito pulito – aggiunge Ieri – e non sembrava affatto un evaso scappato nei boschi».

«Mentre sorseggiava il caffè – prosegue l’accusato di favoreggiamento – mi disse che la giustizia lo riteneva responsabile di una rapina che lui non aveva commesso, quella ai danni dei due anziani di Consiglio di Rumo. Poi si prese una banana di sua iniziativa e aggiunse “Adess voo su nei bosc (Ora vado nei boschi)” prima di sparire».

La rocambolesca evasione avvenne a metà mattinata e Riella si presentò a casa della coppia di Brenzio poco dopo le 14, quando la notizia della sua fuga non era ancora rimbalzata da ogni parte in Alto Lario. Ma c’è un risvolto che, secondo Alessandro Ieri, potrebbe rappresentare il motivo del suo rinvio a giudizio.

«Più tardi, mentre scendevo verso Gravedona in auto, al pari di altri automobilisti venni fermato dagli agenti penitenziari, che mi invitarono ad aprire il baule perché – dissero – stavano cercando l’evaso. Al momento non collegai nemmeno la parola “evaso” al “soo scapà” di Riella. Ci pensai una mezz’ora dopo, mentre ero a Gravedona, e così tornai indietro a riferire alle guardie penitenziarie che l’evaso era stato a casa mia a prendere un caffè».

«Non telefonai alla figlia»

Per il resto, la coppia di Dosso del Liro nega qualsiasi azione compiuta per agevolare in qualche modo il fuggiasco: «Non telefonai affatto a sua figlia, come mi si accusava inizialmente, per avvisarla che il padre era al Dosso e il controllo del mio telefono lo ha dimostrato – conclude il suo ragionamento l’ex barista – . Non ho mai avuto il minimo guaio con la giustizia e mi chiedo in quale modo io e la mia compagnia, quel sabato pomeriggio, possiamo aver favorito o protetto l’evaso Massimo Riella».

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