A piedi per il mondo, rivoluzione cortese

Sempre più persone si spingono sui sentieri. C’è da augurarsi che si avvicinino ai grandi cammini. L’intervento dello scritte camminatore Enrico Brizzi per il numero del decennale de “L’Ordine”

Enrico Brizzi

La pratica del camminare all’aria aperta appare oggi trovare un favore enorme.

Sono sempre più frequenti gli incontri lungo i sentieri, così come lungo i grandi itinerari storici e religiosi.

L’occhio del viandante attento non manca di notare, accanto agli escursionisti veterani, una generosa presenza di neofiti, l’ultima ondata di praticanti che si sono avvicinati all’antica arte di portare a spasso uno zaino come reazione alle quarantene e alle angosce degli anni scorsi, e si orientano nella scelta dei percorsi principalmente grazie ai social e alle agenzie specializzate nel turismo ecologico.

Negli ambienti dell’escursionismo più austeri già si sospira infastiditi: «Camminare è diventata una moda»; noi invece speriamo con tutto il cuore che non si tratti di una voga passeggera, ma dell’inizio di una mutazione profonda dei costumi.

Sull’orlo di una crisi di nervi

Se diventassero ancora più numerosi quanti trascorrono il tempo libero fra strade forestali, mulattiere e tracce di sentiero, si tratterebbe di una splendida notizia, uno dei segni più certi della rivoluzione cortese che sta portando la nostra società, giunta sull’orlo di una crisi di nervi, ad assumere un rapporto più equilibrato con il pianeta e a riorganizzare in maniera più fertile le proprie priorità.

In questo senso fanno ben sperare le avanguardie di quanti non si limitano a gite di giornata, alzando l’asticella per orientarsi dapprima verso un fine settimana con pernottamento in rifugio o locanda, quindi verso veri e propri viaggi in autonomia.

Gli aspetti più vertiginosi di questi ultimi, secondo la nostra personale esperienza, si disvelano strada facendo e arrivano a toccare la dimensione più intima del viandante.

Come gli antichi pellegrini

Cambiare tetto ogni sera e finire per sentirsi a casa ovunque è un dono incomparabile, che comporta un affidamento non dissimile a quello che provavano gli antichi pellegrini: anche quando le forze sembrano venire meno, si trova nel ritmo sempre uguale del cammino la risorsa per arrivare alla meta serale.

Per chi si cimenta con queste esperienze totalizzanti, le sorprese non mancano, a cominciare dal paradosso - che forse sarebbe meglio chiamare metafora - per cui si parte sempre con uno zaino pesante e si arriva con un fardello più leggero. A noi pare la prova scientifica di come i pregiudizi e le paure che ci tengono a casa, prigionieri di consuetudini, urgenze e indomabili ansie, abbiano peso specifico superiore rispetto alla materia lieve della meraviglia che si sperimenta mettendo un passo dopo l’altro.

Rendersi conto che un pellegrinaggio lungo la Via Francigena da Canterbury a Roma richiede nel XXI secolo ottanta giorni, lo stesso identico tempo che serviva nell’anno 1000, esce dal novero delle semplici curiosità per farci comprendere come un lungo viaggio non comporti solo uno spostamento nello spazio, ma anche un esaltante movimento nel tempo. Si sentono cambiare un giorno alla volta le lingue e i dialetti, si passano le Alpi sostando fra le nevi all’Ospizio del Gran San Bernardo; si patisce la sete in pianura, si entra impolverati a Lucca, Siena, Viterbo, e diventa impossibile non provare una forte immedesimazione con quanti hanno compiuto quei passi dieci secoli prima. Che città hanno visto i loro occhi? Quali erano le loro motivazioni? Si sono sentiti felici, almeno per un istante, in questo luogo preciso in cui, all’improvviso, a noi appare tutto chiaro e ci pare di poter carezzare l’armonia del mondo?

Si contano a milioni le persone che, in questo scampolo di nuovo Millennio, hanno percorso il frequentatissimo Camino Francés diretto a Santiago di Compostela, e la maggior parte di loro mettono al primo posto fra i ricordi piacevoli l’atmosfera che si è respirata fra i peregrinos: empatia, curiosità verso l’altro, spirito di condivisione sono apparsi per la prima volta nella vita di tanti - cresciuti magari a Borgo Panigale, Treviglio o Lurate Caccivio - fra la Navarra e Burgos, Leon e la Galizia; così ci si strugge all’idea ché quello spirito benevolo, creatura sfuggente e refrattaria ad acclimatarsi altrove, pare essersi perduto col ritorno alla vita quotidiana.

Se l’esperienza di palingenesi collettiva di Santiago resta irriproducibile nelle proporzioni, forse non è del tutto un male: trecentomila passaggi l’anno rischiano di trasformare l’itinerario nella Venezia dei cammini, adulterandone l’essenza più autentica, già minacciata dalla convivenza con stuoli di viaggiatori che si affidano a servizi commerciali di trasporto bagagli.

Molto meglio, allora, andare a scoprire lunghi itinerari classici meno battuti, come la Grande Traversata delle Alpi, l’Alta Via dei Monti Liguri, la Grande Traversata Appenninica o la Via del Sale, o ancora i nuovi cammini che negli ultimi anni sono fioriti ai quattro angoli del Bel Paese, dalla Via degli Dei fra Bologna e Firenze, ormai popolarissima, alla Via Francigena del Salento.

In Lombardia, dove la cultura dell’escursionismo è fortemente radicata, ha riscosso grandi consensi la rinascita, dopo anni di semi-abbandono, dello storico Sentiero del Viandante, proteso lungo la sponda orientale del Lario fra Lecco e Colico via Abbadia, Mandello, Lierna, Varenna, Bellano, Dervio e la baia di Piona.

Una proposta per il Lario

Nuove infrastrutture, in specie nel settore più meridionale, una segnalazione esauriente e una app dedicata hanno portato a una percorrenza intensa e a un virtuoso passaparola, che ci auguriamo costituire il primo passo verso un itinerario di più ampio respiro che abbracci razionalmente l’intero Lario.

A ben vedere, basterebbe valorizzare la panoramica Alta Via dei Monti Lariani, qui e là bisognosa di cure, ma in ogni caso già percorribile con gran gusto da Como fino all’imboccatura della Valtellina, quindi servirebbe scegliere un itinerario univoco fra Como e Lecco fra i sentieri già esistenti che corrono a cavaliere della dorsale del Triangolo Lariano.

La notorietà internazionale del Lago farebbe fatalmente da eco per un tour del genere, che può richiedere fra i dieci giorni e le due settimane, e rappresenterebbe una modalità di fruizione complementare al turismo mordi e fuggi - quello che assedia Bellagio nei fine settimana, tanto per intenderci - con una ovvia ricaduta economica sull’intero territorio.

Operazioni di questo genere, volte a creare cammini di lunga percorrenza con l’impegno congiunto fra diverse amministrazioni, rappresentano il futuro del turismo, o perlomeno una delle sue declinazioni più fertili. Quanto al presente, possiamo contentarci, per così dire, della fitta rete di sentieri e percorsi storici che ci consentono di traversare boschi e pascoli affacciati sul Lago, di seguire i vecchi percorsi a mezza costa come di salire in quota verso i rifugi costruiti a ridosso della “Linea Cadorna”, di raggiungere villaggi e chiesette carichi d’arte e di storia, e di spaziare con lo sguardo dal San Primo al Legnone.

Non serve pagare nessun biglietto per mettere nello zaino borraccia e panino, osare il passo più lungo, quello che conduce oltre la soglia di casa, e incamminarsi; ogni volta che ci concediamo a questa armoniosa bellezza, zittite le notifiche del telefono e sospesa l’incredulità, sentiamo che il tempo speso in cammino è per noi “tempo di regali”.

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