capire la montagna
maestra di libertà

In cammino lungo la Val Miller, osservavo i volti di tante persone di ritorno dalla vetta dell’Adamello mentre con i compagni di giornata si rifletteva. Intorno, ma soprattutto dentro di noi, a quella quota l’estate già pulsava di umori autunnali, svelati dai colori intensi.

Discutevamo dei fiumi di parole scritte e parlate a proposito della montagna in questi ultimi mesi e delle numerose occasioni sprecate di tacere in assenza di una vera conoscenza, di notizie che fossero davvero tali, utili a conoscere meglio questo mondo così speciale. Intanto la costiera di roccia della immensa vallata scintillava come un dono prezioso.

Anche noi avevamo contribuito a riempire i parcheggi nei pressi di Malga Premassone e anche noi eravamo di impatto sulle terre alte, soprattutto in luoghi come la Val Miller che sembrano essere un pianeta “altro”, dove le prospettive sono differenti, le emozioni più nette. E i pensieri più lucidi.

Numeri sproporzionati

Vivo in un piccolo paese di montagna delle Orobie bergamasche, non lontano dall’Adamello. Conosco da decenni la problematica che un turismo sempre più pressante pone: dalle città d’arte alle coste, dalla montagna per famiglie a quella per appassionati camminatori e ciclisti, è difficile non cogliere questo problema, se si ha a cuore la geografia nella quale viviamo e lavoriamo. Pressione che ormai viene chiamata “overtourism”, anche se è difficile stabilire cosa sia “tourism” e cosa “over”, cioè fuori misura.

Chi può stabilire dei numeri se non esiste a monte una cultura della geografia e di cosa significa “essere un luogo”?

Molte località di montagna – le Orobie ne sono un esempio – hanno una percentuale di seconde case che supera il 70% del patrimonio immobiliare, cosa che nell’ultimo mezzo secolo ha orientato la sua frequentazione in una direzione descritta da numeri sproporzionati, oltre che avere orientato le micro economie locali, ormai spesso dipendenti dalla presenza del turista, lasciando a noi residenti gli effetti collaterali dell’aumento dei prezzi, giusto per fare un esempio pratico, oltre che la congestione di spazi che non sono nati per essere vissuti così.

Camminare la montagna, vederla come un orizzonte di respiro, benessere fisico e interiore, libertà, distacco dai quotidiani affanni, non può essere una colpa ma deve certamente indurre a una nuova presa di coscienza. E questo deve valere anche per chi ha il delicato compito di informare, perché parlare di “turismo sostenibile” è un ossimoro. E informare significa andare a fondo delle questioni, lo dico per esperienza diretta perché per parlare di terre alte serve credibilità e presenza sul campo.

Siamo in tanti su questo pianeta e moltissimi in questa regione – dieci milioni per la precisione. Ma l’orientamento politico resta sempre quello: “crescita” infinita, profitto, investimento in strutture inutili, dannose, dalle prospettive di corto respiro (inaccettabili i contributi pensati per gli impianti di risalita con la crisi climatica in corso e la conseguente necessità di creare la energivora neve artificiale). E così sindaci e assessori a ogni livello si abbeverano ai numeri del profitto – le presenze record – e alla retorica delle zone di montagna depresse economicamente. Un’immagine, questa, falsa per molte aree alpine e prealpine, che non tiene conto della geografia di questa regione, dove dal suo capoluogo – Milano – alle montagne della stessa regione si accede in meno di due o tre ore. Molte zone di montagna, con il turismo di massa, hanno scoperto da anni un benessere materiale non paragonabile allo stato delle cose di mezzo secolo fa.

Resta l’aspetto più complesso, però: quello culturale, poco amato dalla politica (a meno che per “cultura” non intendano i Mondiali di Enduro o altre attività aggressive verso la Terra), poiché per la politica, l’identità della montagna è un concetto appiattito sul solo parametro del profitto. E il “guadagno” ecologico, interiore, di salute, di rapporto armonico con la montagna, di sentirsi parte di quel tutto così variegato e struggente?

Osservando i volti stanchi e felici di chi tornava dalla lunga cavalcata che porta all’Adamello non mancavo di sentire un afflato con chi aveva percorso la splendida e sinuosa vallata per godere di una “tundra” che si estende per chilometri, un vero viaggio nell’altrove delle terre alte alpine e a portata di una qualsiasi persona con un minimo di allenamento e qualche esperienza di escursioni di montagna - con le calzature corrette, uno zaino preciso, un abbigliamento consono. Con questi semplici strumenti possiamo avere un incontro ravvicinato con la montagna: corsi d’acqua, piante, rocce, pascoli, sentieri con il loro lessico storico. È questa la montagna orizzontale, che non esige una visione verticalista, chi ha torto e chi ha ragione, chi comanda e chi noi. Una montagna simbolo di libertà di scegliere le proprie responsabilità civili, perché lassù abbiamo l’opportunità di comprendere questo pianeta così inclusivo nella sua stessa essenza.

L’impatto mediatico

Quello che manca nella larga maggioranza delle notizie estive sulla montagna è l’esperienza diretta, ovvero anche fare la cosa più semplice: camminare. Solo nella nostra regione abbiamo oltre quindicimila chilometri di sentieri, per tutti i gusti e ogni livello di allenamento per muoverci all’aria aperta sentendoci parte della geografia e non un corpo estraneo. I mass media generalisti, nell’estate del 2025, hanno dimostrato proprio questo: di essere un corpo estraneo alla montagna nel modo di raccontarla, servendosene come di un database di dati economici o di interventi del soccorso alpino.

Prima di “immergerci” nel tuffo a valle che dalla valle sospesa ci avrebbe portato sulle impegnative “Scale del Miller” verso il fondo valle abbiamo salutato la catena di cime scintillanti. Improvvisamente, un boato: nell’area tra il Corno Remulo e il Corno di Macesso, lassù dove resistono le pernici bianche, a circa 2800 metri di quota, una immensa e fragorosa frana ci ha ricordato le forze in gioco sul pianeta. La montagna aveva fatto il suo corso e intanto pensavo al prossimo passo: più profondo, più elevato. Più ponderato.

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