Curare con la musica: si inizia nella pancia

Numerosi studi dimostrano che è la più lenitiva tra le arti come avevano già capito gli egizi. Cantare ninne-nanne rafforza il legame tra madri e bambini durante la gravidanza

La musica è un aspetto intrinseco dell’esistenza umana. Ogni civiltà conosciuta possiede una tradizione musicale, segno che nel corso della storia gli individui l’hanno sempre considerata una compagna essenziale.

Le prime testimonianze dell’uso di strumenti musicali risalgono a circa 40.000-50.000 anni fa, con flauti ricavati da ossa animali nell’epoca di Neanderthal. Tuttavia, è plausibile che già da 100.000 a 200.000 anni fa gli ominidi usassero strumenti rudimentali come tamburi e flauti per partecipare ad attività musicali collettive. Il potere curativo del suono è noto fin dall’antichità e si ritrova spesso nella mitologia. In Egitto si utilizzava la musica nei templi per curare i malati; nella Bibbia vi sono numerosi riferimenti musicali; Aristotele in “Intorno all’anima” descrive gli effetti lenitivi del flauto; Ippocrate e Celso suonavano musica per trattare disturbi mentali.

Oggi sappiamo che la musica può essere un efficace strumento di supporto alla cura in tutte le età della vita e in vari ambiti clinici. Tra le arti, è quella con il maggior numero di prove scientifiche a sostegno: oltre 3.000 studi clinici randomizzati. Queste evidenze hanno stimolato un crescente interesse in campo medico, psicologico e sociale, e hanno portato a un uso più consapevole della musica per sostenere abilità sensoriali, emotive, relazionali e cognitive, sia in condizioni fisiologiche sia patologiche.

Suonare da piccoli

Si ritiene comunemente che lo studio di uno strumento musicale durante l’infanzia favorisca lo sviluppo cognitivo, con benefici che si estendono anche ad ambiti extramusicali. Da qui l’importanza di includere l’educazione musicale nei programmi scolastici già a partire dalla scuola materna ed elementare.

Musica e linguaggio condividono aree funzionali e associative nel cervello, il che rende plausibile un’influenza positiva reciproca. Come sottolinea la professoressa Luisa Lopez, autorevole figura nel settore, la musica può essere vista come una componente della riserva cognitiva, risorsa fondamentale per un invecchiamento sano.

Benefici

Le ricerche nell’ambito della psicologia della musica hanno messo in luce l’impatto positivo dell’ascolto musicale sul benessere percepito, sulla qualità della vita e sulla sfera emotiva. La musica è uno strumento efficace per gestire emozioni e stress nella quotidianità, grazie alla sua capacità di coinvolgere e distrarre in modi sia cognitivi sia emotivi. Ogni volta che scegliamo un brano da ascoltare, compiamo valutazioni psicologiche sofisticate e personali sul nostro stato d’animo e sul contesto in cui ci troviamo.

Numerosi studi dimostrano che cantare ninne-nanne in gravidanza rafforza il legame tra madre e bambino. Nell’adolescenza, la musica aiuta a costruire l’identità personale e sociale, facilitando l’autoregolazione, l’espressione di sé e la partecipazione alla vita collettiva. Gli adulti ascoltano musica per regolare emozioni, evocare ricordi, stimolare l’immaginazione. Durante la pandemia da Covid-19, la musica ha rappresentato per molti una risorsa essenziale per affrontare l’isolamento.

In età avanzata, la musica conserva un ruolo attivo nella promozione della salute, grazie alla stimolazione cognitiva, alla neuroprotezione e al supporto nei percorsi di neuroriabilitazione.

Un campo di ricerca particolarmente interessante, sviluppato da Liila Taruffi dell’Università di Durham, è quello del “mind-wandering”, ovvero quelle esperienze mentali che ci allontanano dal “qui e ora” e alleggeriscono il carico della realtà quotidiana. Studi basati sulla tecnica del campionamento dell’esperienza mostrano che il “mind-wandering” stimolato dalla musica può diventare una forma di distrazione positiva, utile a potenziare la creatività e il pensiero divergente.

Un’ampia letteratura documenta il ruolo della musica nel rafforzare i legami sociali. La condivisione musicale favorisce comportamenti prosociali, senso di successo condiviso, coordinazione fisica, attenzione congiunta, motivazione e identità di gruppo. Aumenta i livelli di ossitocina, abbattendo barriere culturali, etniche o religiose, come avviene nelle sessioni di canto individuali o collettive.

L’attività musicale è cruciale nella costruzione di legami tra persone e gruppi, con benefici anche sulla salute. Secondo Steven Mithen, archeologo e pioniere dell’antropologia cognitiva, l’evoluzione della mente umana è strettamente connessa alla musicalità. Ballare e muoversi insieme al ritmo musicale accompagna l’uomo dalla preistoria, perché l’organizzazione in gruppi sociali coesi si è sviluppata anche grazie a questa componente. La musica come collante sociale precede addirittura il linguaggio. Recenti ricerche hanno individuato i meccanismi neurali grazie ai quali attività come cantare, ballare e fare musica insieme generano gratificazione emotiva che perdura anche dopo l’evento musicale.

Per tutti questi motivi, la musica merita un posto stabile nell’armamentario terapeutico, grazie alla sua efficacia, all’assenza di effetti collaterali e al costo contenuto. La base di partenza è la consapevolezza che suoni e melodie influenzano emozioni e stati d’animo. Da qui nasce l’uso della musica a scopo riabilitativo e terapeutico in vari contesti, e non solo in ambito clinico.

Non sorprende che la musica sia stata utilizzata fin dall’antichità per il benessere mentale. Oggi la musicoterapia rappresenta una modalità sempre più riconosciuta per rispondere ai bisogni di bambini e adolescenti con disturbi del neurosviluppo, come autismo (Asd), Adhd e schizofrenia.

Questa pratica integra principi della psicologia, delle neuroscienze e dell’espressione creativa, mirando a sostenere uno sviluppo olistico. La musica attiva i neurocircuiti legati alla cognizione emotiva e sociale, risultando efficace nel miglioramento di funzioni come la teoria della mente, la regolazione emotiva e l’interazione sociale.

Per quanto riguarda l’autismo, ambito nel quale Villa Santa Maria rappresenta un centro di riferimento anche a livello di ricerca scientifica, la musicoterapia si è dimostrata utile per migliorare la comunicazione e l’interazione. Lo conferma la prima revisione Cochrane del 2022 che ha analizzato 26 studi randomizzati condotti su oltre 1000 soggetti.

Particolarmente significativo è lo studio Tima-A, che ha coinvolto anche Villa Santa Maria e che è stato pubblicato su “Jama“ nel 2017: il più grande trial randomizzato e controllato mai realizzato nel campo, con 364 bambini tra 4 e 7 anni coinvolti in nove Paesi. I bambini, che hanno partecipato a sessioni di musicoterapia improvvisata, hanno mostrato miglioramenti nel 52% de casi. Più chiaro di così…

(*) direttore scientifico di Villa Santa Maria - Tavernerio (CO)

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