La scuola non sia al servizio del mercato

Nuccio Ordine riceve il “Nobel di Spagna” e lo dedica ai professori «che possono cambiare le vite degli studenti, ma non sono abbastanza considerati dalla società»

Fare educazione in un mondo sempre più digitale, sempre più rapido e sempre più artificiale sta dimostrandosi essere un compito arduo. Il risultato è un impoverimento dei valori e del pensiero critico, fenomeni evidenti ma, forse, sottostimati, in quanto il danno arrecato non è qualcosa di visibile immediatamente o direttamente. Ne parliamo con Nuccio Ordine, professore di Letteratura Italiana nell’Università della Calabria e uno dei maggiori studiosi di Giordano Bruno, che il 16 maggio alle 21 parlerà al Teatro Sociale di Como all’interno del Festival della Luce. Si confronterà con il filosofo Massimo Cacciari e i neuroscienziati Giorgio Vallortigara e Giacomo Rizzolatti.

Professor Ordine, inizierei dal premio Principessa delle Asturie, che le hanno recentemente assegnato, considerato come il “Nobel di Spagna”. La motivazione richiama “la sua difesa delle scienze umane e il suo impegno per l’educazione e i valori radicati nel pensiero europeo più universale”: Che fine ha fatto questa educazione?

Ho dedicato questo premio a tutti i maestri e professori, soprattutto quelli che nelle parti più povere del mondo cambiano la vita agli studenti. Questo per dire che oggi, nella nostra società, il lavoro dell’insegnante viene disprezzato e non ha né valore sociale né dignità economica. Senza i buoni professori non si possono cambiare le vite degli studenti, e io sono polemico con chi oggi investe molto denaro nel cablaggio nelle aule, nel comprare i computer agli studenti, ma non si occupa né della formazione dei professori né nel ridare dignità a questa professione.

Un ambito totalmente travisato.

Oggi, purtroppo, fanno credere agli studenti che si deve studiare per imparare un mestiere che ti faccia poi guadagnare dei soldi. Questo per me significa immiserire la funzione nobile dell’educazione. Può essere un effetto ma non l’obiettivo principale il quale è, invece, quello di formare dei cittadini colti, liberi, cioè in grado di saper giudicare i falsi valori che la società gli impone. Ecco perché oggi la scuola e l’università non sono quel laboratorio critico dove noi mettiamo in discussione la società; no, la scuola e l’università diventano l’amplificazione di questi falsi valori. L’obiettivo diventa quello di formare dei soldatini, che sono dei consumatori passivi, come polli di batteria, per cui devono uscire tutti con lo stesso peso, la stesa idea, gli stessi tempi, e si devono nutrire dello stesso cibo.

Si parla tanto diversità e della sua importanza, eppure pare si stiano facendo sempre più regole e si attuano modelli per renderci tutti uguali: l’errore di pensarci tutti bravi allo stesso modo.

Cosa ne pensa?

Certo, l’idea è quella di omologare ma soprattutto far credere ai giovani che le parole d’ordine devono essere velocità, competitività, primeggiare, e quindi una forma di egoismo nel pensare solo a se stessi. Penso che la scuola e l‘università debbano essere, come diceva Kant, non la cassa di risonanza dei valori dominanti, ma il laboratorio dove i valori dominati vengono analizzati criticamente, quindi messi in discussione. Non è vero che la dignità dell’uomo coincide con i soldi che guadagna. Questa è una maniera banale di concepire la vita. Ci sono tante persone che hanno tanti soldi e non hanno nessuna dignità, e ci sono tante persone che non hanno soldi e hanno una dignità immensa. Vorrei ricordare che in un test Invalsi del 2018 hanno avuto il coraggio di chiedere a bambini fra 7 e 9 anni: quanti soldi vuoi guadagnare da grande? E, con i soldi potrai comprare tutte le cose che desideri? Per me queste domande sono anti-educative, però nessuno si è meravigliato di questa cosa, perché il mondo va in questa direzione, ed è per questo che ho lanciato il grido di allarme, riconosciuto dal premio Asturie, per una scuola che non sia a servizio del mercato.

Da questo discorso qualcuno potrebbe trarre la conclusione che lei concentra il suo pensiero sulla formazione umanistica, mentre non è assolutamente così.

Non c’è dubbio! Le due sono unite! Oggi entrambi gli ambiti sono minacciati dall’utilitarismo, dall’idea di profitto e di denaro. Infatti, la ricerca scientifica di base, ad esclusione dei grandi centri, come il Cern di Ginevra, non vede un forte investimento da parte dello Stato. Molti fondi per la ricerca scientifica, ti chiedono dopo i primi anni cosa hai scoperto, e alla fine come la tua ricerca può essere utile all’industria, una maniera assurda di applicare il metodo.

In passato non era così.

Se ci pensiamo, le grandi rivoluzioni scientifiche sono state fatte da ricerche basate sulla curiosità, noi oggi abbiamo il Gps ma senza la teoria della relatività generale di Einstein, non lo avremmo avuto. E quando Einstein lavorava per la teoria della relatività, non pensava al Gps, bensì a capire la natura, comprendere come è fatto il mondo, per conoscere, per sapere. Ecco perché le grandi ricerche che si fanno senza pressione utilitaristica possono creare delle rivoluzioni enormi nelle applicazioni successive. La ricerca di corto respiro è una miopia.

Educazione e impresa sono lontane fra loro.

Applicare la logica dell’impresa alla ricerca scientifica e all’insegnamento universitario è qualcosa che porta ad un disastro senza fine. Ad esempio, se in un’impresa c’è un ramo che non produce, lo si taglia. Se applichiamo questa logica all’università si arriva a dei paradossi di questa natura: un professore che insegna sanscrito, una lingua importante, e ha due studenti. Il consiglio di amministrazione potrebbe dire che non è produttivo pagare un professore per due studenti, quindi si taglia il sanscrito. Domani tagliamo il greco e poi il latino. Ma se applichiamo questa logica e tagliamo le lingue antiche, le conseguenze saranno fortemente negative sull’intero apparato democratico. Ci si può chiedere a cosa servano latino e sanscrito. Quando gli ultimi conoscitori di queste lingue saranno morti, se noi non le insegniamo più, fra cento anni nel mondo non ci sarà più nessuno nel mondo in grado di leggere un documento di fronte a una scoperta scientifica, e noi taglieremmo quindi i ponti con il passato creando una società di smemorati, cioè che non ha più memoria di sé stessa e della sua cultura.

E se qualcuno stesse pensando di far tradurre il greco o il sanscrito all’intelligenza artificiale?

Questo non è possibile: le traduzioni presentano notevolissimi problemi. Tradurre una pagina dell’Ulisse di Joyce con l’AI fa morire dal ridere. Solo una persona che conosce Joyce può capire le sue allusioni. Una macchina può tradurre facilmente da una lingua all’altra ma quando si tratta di interpretare, di sciogliere metafore, lì ci vuole una persona che abbia una cultura. Lo stesso vale per un’eventuale sostituzione dei professori, qualcosa di inconcepibile. Come l’idea di una macchina che possa realizzare concerti come li facevano Mozart o Beethoven. Manca l’elemento creativo, quello dell’immaginazione, il clinamen lucreziano. Quella cosa imponderabile che porta Mozart a fare delle cose che altri non hanno saputo fare. Serve quello scatto che la macchina non ha. Almeno fino ad ora.

Le scarse conoscenze scientifiche, o culturali in generale, hanno contribuito a creare la confusione che si è generata durante la pandemia?

Il Covid è stato un laboratorio importante, all’interno della tragedia che ha provocato. Una è quella che dice lei, questa distanza fra la scienza e la percezione dei non esperti per la scienza. L’altro tema importante che ci ha fatto capire è che gli ultimi 40 anni di politica neoliberista sono stati assolutamente disastrosi, sfasciando i due pilastri su cui si regge l’attività umana, il diritto alla vita e quindi la salute, e quello alla conoscenza. I tagli nella sanità e nell’istruzione sono stati terribili e hanno prodotto un deserto, di cui ci siamo bene accorti. Abbiamo capito che nella cultura neoliberista gli ammalati sono clienti, così come lo sono gli studenti.

Come si risolve?

Dobbiamo prenderne coscienza e riportare nuovamente educazione e sanità pubblica sul binario corretto, investendo soldi in questi settori. Dobbiamo batterci per questo. Non sono utopie. E se anche le consideriamo tali, dobbiamo avere la dignità di perseguirle.

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