L’anima della Brianza si chiama Lambro

Un fiume da tenere in maggiore considerazione: non solo ha spinto l’economia per secoli ma ha anche ispirato scrittori, poeti e artisti a partire dal premio Nobel Quasimodo. Vi proponiamo un’anteprima di un nuovo saggio

Ogni fiume possiede un tratto distintivo, o meglio una propria personalità. Quella del Lambro si rintraccia già all’origine, nel suo nascere. Alla fonte i suoi vagiti sono intervallati. Come i pianti di molti neonati che lanciano lunghi acuti per poi arrestarsi, prendere fiato e ricominciare a far sentire la loro voce.

Così procede l’erogazione dell’acqua alla sorgente del Lambro: esce un fiotto continuo che scema fin quasi a interrompersi del tutto e, dopo alcuni istanti, riparte. Un fenomeno a intermittenza. La sorgente si trova a 944 metri sul livello del mare, in località Piano Rancio, nel cuore dei monti dell’alta Brianza che disegnano il Triangolo lariano e svettano con i 1686 metri del monte San Primo. Un’iscrizione scolpita nella roccia, ma consunta, dice: «Qui nasce il Lambro con un fil di voce linda linda». Una targa leggibile rafforza la segnalazione e certifica che da quel rivolo d’acqua inizia il viaggio del fiume che, per 130 chilometri, attraversa la Lombardia fino a raggiungere l’antico borgo di San Colombano al Lambro per immettersi, poco più a sud, nel Po, in località Lambrinia.

Tre aree distinte

Nel suo percorso sono rintracciabili tre aree ben distinte: la prima va dalla sorgente all’immissione nel lago di Pusiano e vede la presenza della parte settentrionale della Vallassina, cui segue l’alta Brianza con i Piani d’Erba o, come si diceva originariamente, di Incino. Il fiume prende forma di ruscello fino a Magreglio dove inizia a trasformarsi in torrente e a far sentire il suo timbro di voce: raccoglie le acque di ruscelli sparsi e acquista forza, scende al piccolo centro di Lasnigo, ricco di storia racchiusa nella chiesa di Sant’Alessandro, un romanico del XII secolo e, qui, il letto e la portata dell’acqua lo rendono fiume pronto ad attraversare Asso, Canzo, Ponte Lambro, salutare Erba ed entrare nel lago di Pusiano. La seconda area abbraccia la Brianza delle ville di delizia fino a comprendere la città di Monza.

Il Parco regionale

È il cuore della Brianza, un territorio ora tutelato dal Parco Valle del Lambro, nato nel 1983, che raccoglie trentacinque comuni per una estensione di venticinque chilometri pari a 8.107 ettari, di cui oltre quattromila di ambienti molto differenti tra loro: ci sono boschi, i laghi di Pusiano e Alserio, valli scavate da rogge e torrenti, altopiani e grandi estensioni di prati. L’ultimo tratto, lasciata Monza alle spalle, unisce l’area che costeggia la periferia e i confini di Milano – San Maurizio al Lambro, Sesto San Giovanni, Lambrate, Ponte Lambro – con le prime campagne che disegnano la pianura Padana e, bagnandole, va a confluire nel Po.

La Brianza non è immaginabile senza il Lambro. Il fiume le ha dato una ricca storia naturale, le sue acque hanno alimentato una rigogliosa vegetazione, hanno attirato insediamenti di grandi popoli: i Celti, gli Insubri, i Romani che vi si stabilirono dopo il 194 a.C. e vi rimasero fino alla ritirata nel 476 d.C. con l’arrivo degli Ostrogoti cui seguirono i Bizantini e infine i Longobardi, i quali contrassegnarono la loro presenza con gli anni d’oro del regno della regina Teodolinda. Monza ne conserva la memoria più gloriosa. In quei secoli sono fiorite numerose leggende, portando la Brianza nella letteratura popolare. Non c’è però epoca né dominazione che non registri la presenza del Lambro da protagonista con ruoli ben definiti e mai in veste di comparsa: senza la corrente delle sue acque non sarebbero sorti attorno alle rive, o a poca distanza, borghi vivaci e produttivi, mancherebbero i mulini e anche il processo di industrializzazione avrebbe avuto altre prospettive.

Nell’Ottocento, il Lambro ha iniziato a regalare momenti di serenità e pace non solo ai milanesi che villeggiavano: era una festa andare la domenica in trattoria con il sottofondo dell’acqua che scorreva a pochi passi. All’esterno, sotto i pergolati di glicine o d’uva americana e, all’interno, attorno ai tavoli di legno con sedie impagliate, si consumavano indimenticabili partite a carte alternate a infinite discussioni; a portata di mano non mancavano mai il cesto del pane, il tagliere di salame e mortadella, il rosso in caraffa da un litro, mezzo, un quartino. I pittori hanno immortalato il fiume, i poeti lo hanno cantato. Salvatore Quasimodo, che ha vinto il Premio Nobel per la letteratura, nel 1937 ha scritto “Sulle rive del Lambro” [...].

Il Lambro ha molto da raccontare. Ha visto succedersi civiltà e alternarsi culture. Sarebbe un errore ridurre la narrazione dei fatti accaduti lungo il suo percorso, qualificandoli come minori, quasi la loro rilevanza fosse solo locale. Al contrario, ognuno di quegli avvenimenti rappresenta la tessera di un mosaico più ampio che vede muoversi condottieri, avventurieri, potenti; si sente la voce del popolo minuto e quella di importanti casate, sfilano nomi di famiglie illustri, di artisti milanesi e non solo. Quanto è successo lungo le sue rive ha concorso allo svolgimento di eventi e disegni strategici di potenze e di regni interessati alla conquista della Brianza per proteggere Milano o per creare un avamposto da cui muoversi per insidiare Milano. Qui sono state scritte pagine di grande storia che soltanto la dimenticanza riesce a sminuire offuscandole e impedendo di cogliere il valore di una terra amata e conosciuta anche oltre i confini nazionali, come ricordano i diari di viaggio di scrittori come Stendhal, i coniugi Carolina e Federico Lose, Richard Bagot.

La voce dell’acqua

A suggerire questo avvicinamento al Lambro, affidandogli il ruolo di voce narrante e il compito di aprire i sigilli dei luoghi della memoria, è un grande storico del Novecento Fernand Braudel, che ha applicato nelle sue ricostruzioni anche gli strumenti della “geostoria”, convinto che la geografia offra un formidabile aiuto alla lettura degli avvenimenti. «Distribuire i fatti storici nello spazio», afferma, «significa per forza capirli meglio e porre con maggior precisione i veri problemi» permettendo di stabilire i «legami fra l’ambiente umano e lo spazio» perché «la vita di una società dipende da fattori fisici e biologici coi quali essa è in contatto e in simbiosi. Le stagioni con i condizionamenti, gli effetti, le creazioni che impongono, sono fattori di storia». Per Braudel la «geostoria è la storia che l’ambiente impone agli uomini condizionandoli con le sue costanti, oppure con le sue leggere variazioni. Ma la geostoria è anche la storia dell’uomo alle prese con il suo spazio, spazio contro il quale lotta per tutta una vita di fatiche e di sforzi e che riesce a vincere - o meglio, a sopportare - grazie ad un lavoro continuo e incessantemente ricominciato. La geostoria è lo studio di una duplice relazione che va dalla natura all’uomo e dall’uomo alla natura, lo studio di un’azione e di una reazione mescolate, confuse, ripetute senza fine nella realtà di ogni giorno». Braudel aggiunge poi che occorre muoversi su tre piani: spazio, economia, società perché «queste realtà tendono a variare venendo a contatto fra loro nel corso del tempo; come, negli anni e nei secoli, l’azione si sposti dall’uno all’altro di questi fattori, per poi tornare sui propri passi e quindi invertire di nuovo la direzione di marcia e così via».

Non si capisce la Brianza se si escludono o si sottovalutano la geografia e la natura. In esse vanno scovate le risorse delle continue trasformazioni sia economiche sia sociali. Questo non vale soltanto per il passato, ma costituisce un punto di osservazione per leggere il presente. Se poi l’attenzione si sofferma sulla relazione tra economia e società, andando a descrivere quanto la prima ha dominato sull’altra e quanto ora la seconda stia riguadagnando terreno, si può descrivere una lunga stagione dell’industria ora scomparsa (le filande prima, le cartiere e i cotonifici poi) e intuire la scommessa della cura e della difesa dell’ambiente rimasto e da recuperare. Uno spazio che trova primo interessato e destinatario il Lambro.

(*) con la collaborazione di Paolo Pirola

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