
Ordine / Como città
Domenica 21 Settembre 2025
L’occhio del regista corre sui binari
Un numero speciale de “L’Ordine” in occasione della corsa del primo treno avvenuta 200 anni fa in Inghilterra. Il regista Paolo Lipari analizza l’eccezionale legame tra cinema e ferrovie, proponendo anche un videomontaggio
«Il XIX secolo che muore lascia in eredità due nuove macchine. Ambedue nascono quasi alla stessa data, poi si lanciano simultaneamente per il mondo, ricoprono i continenti. Passano dalle mani dei pionieri a quelle degli imprenditori: il cinema e l’aeroplano».
Nel suo “Il cinema o l’uomo immaginario”, uno dei più bei libri mai scritti sulla settima arte, Edgar Morin mette così in relazione due invenzioni che segneranno svolte epocali.
Entrambe, dice, vincono una sfida estrema. Il cinema realizza il sogno di riprodurre il movimento; l’aereo quello di volare in cielo. Sorprendentemente, però, è il cinema, nato in un laboratorio con finalità scientifiche, a mantenere nel tempo un’aurea magica. L’aereo finirà per assomigliare a un qualsiasi altro mezzo di trasporto. Il cinema no. Rimarrà speciale.
Questo primo spunto, davvero geniale, apre poi il campo a una splendida, articolata indagine sull’anima immaginifica del cinema. Ma, scendendo ora a terra (in tutti i sensi...), non meno intrigante può risultare la messa a confronto tra la macchina dei sogni e quella che si mise in moto già settant’anni prima: il treno.
Il tema è stato trattato in vari volumi, quale per esempio “Treno e cinema” di Roberto Scanarotti (ed. Le Mani-Microart’S). E anche recentemente, alla Festa del Cinema di Roma del 2022, sono stati presentati due corti, “Treni - arrivi” e “Treni - partenze” di Gian Luca Farinelli e Chiara Sbarigia, che raccolgono, in ordine cronologico, sequenze cinematografiche girate in stazione, a partire da quella forse più famosa: “L’Arrivée d’un train à La Ciotat” dei fratelli Lumière.
La mostra
Nel 2003, per la mostra “Fischia il treno” organizzata dagli Amici dei Musei di Monza, Livia Porta mi chiese un contributo da proiettare all’interno della saletta reale della stazione monzese. Mi venne in mente un esperimento non limitato a una prospettiva antologica.
La scintilla mi si accese durante la preparazione di una carrellata su un set. “Dove dobbiamo mettere i binari?” mi chiese giustamente il macchinista. Ricordo che per un attimo mi sentii un ingegnere ferroviario. Già, perché per realizzare un movimento di macchina continuo, è al treno che il cinema si è quasi subito ispirato.
Negli anni Venti ci si accorse che, piazzata su una piattaforma con le ruote, la macchina da presa, sospinta su lunghi binari, poteva regalarci l’emozione di una penetrazione dello spazio fluida, stabile, proprio come era già stata sperimentata dai fratelli Lumière, nel 1898 in “Passage d’un tunnel en chemin de fer”, un film d’importanza epocale. Fino ad allora il treno era stato scritturato come un fantastico attore, un divo capace di riempire la scena con il suo eccitante incedere. In quel corto il treno diviene operatore. La macchina da presa, fissata al corpo della locomotiva, regala allo spettatore un’esperienza da vivere con occhi nuovi: l’ingresso frontale nel buio di una galleria ferroviaria!
Soggettive
Ecco, qui sta il punto: una stazione è indubbiamente uno scenario perfetto per lo schermo, più cinegenico di una piazza o di un campo di atletica. Tutto vi si muove e l’umano si combina con il meccanico così da produrre il più esaltante effetto spettacolare: l’animarsi dell’inanimato.
Ma è sul treno, molto più che davanti o di lato ad esso, che il cinema scopre se stesso. Davanti allo schermo siamo al contempo attivi e passivi, fermi e veloci, protagonisti e spettatori... proprio come un passeggero delle Nord con lo sguardo al finestrino.
In auto c’è da stare attenti alla strada, si è attratti da informazioni visive fugaci e intermittenti (altre vetture, semafori, cartelli...). Gli occhi assolvono varie funzionalità. Sul treno... c’è un paesaggio che scorre. Al finestrino si offre un movimento laterale di alberi, case, persone che assomiglia a un prodigio: lo scivolamento orizzontale delle immagini davanti alla luce delle prime lanterne magiche.
Si tratta di una visione sospesa, libera, rivelatrice, purtroppo sempre più bistrattata a favore dell’immediata immersione in dispositivi senza orizzonte. Sul treno c’è la preziosa possibilità di contemplare un mondo che si lascia sfogliare come un libro dalle pagine infinite. Un racconto scorrevole...
Da qui mi venne l’idea di “Sguardi dal treno”. Con l’aiuto di Marzia Colonnello, mi misi a ritagliare e montare settantasei momenti cinematografici in ognuno dei quali un personaggio è rivolto al mondo che scappa lì fuori. Detto tecnicamente: una serie di soggettive dal treno. Quello che subito mi colpì è che spezzoni di epoche, generi, autori diversissimi, messi uno dopo l’altro, regalavano l’incredibile effetto di un viaggio attraverso la nostra storia. Fuori dal finestrino, ecco l’epopea del Far West, poi i primi del Novecento, la grande guerra, gli anni Venti, Trenta, la seconda guerra mondiale, l’olocausto, la rinascita, il boom, la modernità, lo scenario contemporaneo... Il tutto lo ordinai in brevi capitoli, distinti da un viraggio cromatico uniforme, intervallati, come fossero stazioni, da citazioni cinematografiche a tema. Il risultato che mi sembrò più soddisfacente fu la suggestione di un flusso continuo: non è immediato individuare l’inizio e la fine di ogni frammento.
Lorenzo Erra e Paolo Pasqualin, straordinario maestro di percussioni, crearono ed eseguirono un accompagnamento musicale che un po’ mima il ritmo sferragliante di una locomotiva, ma anche si apre a scenari musicali imprevedibili e profondi.
Insomma: salito sul treno, il cinema non ha mai smesso di guardare di fuori. A noi la possibilità di raccogliere l’invito a sistemarci sul sedile accanto.
Da oggi il mio lavoro “Sguardi dal treno” è offerto ai lettori de “La Provincia”, sull’home page dell’edizione digitale. Buon viaggio a tutti!
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