Quando sul Lario si andava in gondola

La storia Le tipiche imbarcazioni veneziane simbolo di un legame antico tra il lago e la laguna, che risale alle origini del turismo e dei cantieri nautici comaschi. Ora hanno una sala dedicata al museo di Pianello

Può capitare, osservando una veduta pittorica del nostro lago, di essere colti da una sensazione di déjà-vu. Si sa, spesso a dare smalto a un’immagine sono i dettagli e nel paesaggio lariano questo effetto si deve anche alle barche che ne solcano le acque. Capita così che in certi dipinti del Sette-Ottocento si colga un tocco di “esotico” derivante in effetti da quelle che a colpo d’occhio si direbbero gondole veneziane.

Non si tratta di una licenza d’artista, ma di una provata circostanza storica, che gli esperti così interpretano: nel momento in cui il lago di Como vede sorgere le ville che lo renderanno celebre, la cantieristica locale, tradizionalmente dedita alle imbarcazioni da lavoro, pesca o trasporto che fosse, si trova impreparata di fronte alla richiesta di barche da diporto d’alto profilo. Settore nel quale, al contrario, eccelleva Venezia. In quel periodo, infatti, la città lagunare viveva una irreversibile decadenza economica, ma la dissimulava dietro a una fioritura mondana che trovava espressione anche nel lusso delle sue gondole. Fu così, verosimilmente risalendo fiumi e navigli, che le prime gondole veneziane raggiunsero il lago di Como, suscitando un’ammirazione tale da innescare una corsa a quel nuovo status symbol. Che si trattò di un segno di assoluto privilegio sta a dimostrarlo la permanenza di certe insegne, come quella del ristorante Barchetta di Argegno, la miniatura di una gondola in ferro battuto, a garanzia di un servizio degno dei villeggianti che quel mezzo di trasporto potevano permetterselo.

Nel “Piccolo mondo antico” di Fogazzaro la perfida marchesa Maironi si presenta in gondola al momento cruciale della drammatica vicenda

Una conferma letteraria di questa moda viene da Antonio Fogazzaro, il romanziere che nel secondo Ottocento fu assiduo tanto del Ceresio quanto del Lario. Nel suo “Piccolo mondo antico”, difatti, la perfida marchesa Maironi si presenta in gondola al momento cruciale della drammatica vicenda. «Luisa, che oramai durava fatica a star ferma, uscì per la terza volta sulla terrazza e guardò col cannocchiale. Il cuore le diede un balzo... la gondola era in faccia a San Mamete e veniva dritta alla Calcinera. Si vedevano benissimo i barcaiuoli far forza di remi». E di quella stessa gondola il nipote della sua proprietaria, protagonista del romanzo, si era servito per svignarsela nottetempo, confidando nel fatto che nessuno si sarebbe mai sognato di fermarla. «L’idea era buona. La gondola della Marchesa era sempre guardata dagli agenti dell’Austria con grande rispetto come se portasse un uovo dell’aquila dalle due teste».

Quando poi si tratterà di trasporre il romanzo in pellicola, nel 1941 Mario Soldati dispone di fare arrivare in Valsolda una gondola, che venne trasportata di peso dal lago di Como su per la Val Menaggio. «Campo lungo», si legge sulla sceneggiatura, «Sulle brevi onde che scintillano di mille luci una grande gondola nera, dagli strani arabeschi dorati, scivola leggera verso la macchina da presa. Lenta panoramica che accompagna la gondola a un piccolo approdo. Dalla gondola che attracca, scende maestosa come sempre, la Marchesa Orsola, e prende subito posto in una sontuosa portantina...»

«Lo squero navale di Ferdinando Taroni si offre alla costruzione di ogni genere di barche per lago, fiumi e laghetti nei giardini, tanto comuni quanto eleganti...»

Tornando alle gondole in quanto tali, è il veneziano Gianfranco Munerotto, uno dei massimi esperti in materia, a spiegare come siano evolute nei secoli dalle sobrie navicelle che compaiono nei quadri del Carpaccio alle meraviglie galleggianti rappresentate un paio di secoli più tardi da Canaletto ed epigoni. Osservando, in aggiunta, come il lago di Como abbia fatto da scenario al loro unico filone evolutivo extra-lagunare. Va così interpretata infatti una preziosa locandina del 1790, conservata al Museo della Barca Lariana di Pianello: «Lo squero navale di Ferdinando Taroni si offre alla costruzione di ogni genere di barche per lago, fiumi e laghetti nei giardini, tanto comuni quanto eleganti... avendo a tal uopo appreso le opportune cognizioni nell’Arsenale di Venezia sotto la direzione del celebre Conservatore dei pubblici modelli Angelo Albanese...» A dettarla è un maestro d’ascia affinatosi a Venezia, ma indotto dalle pressanti richieste di mercato a trasferirsi sul lago di Como, in quel di Carate, per fondare uno “squero”, termine squisitamente veneziano per indicare quel che un comasco chiamerebbe “sciostra”, dove avviare la produzione delle prime gondole per così dire “lariano-venete”: dapprima, il più possibile somiglianti a quelle lagunari; successivamente, adattate alla navigazione lacustre, ben diversa dalla circolazione veneziana, a tal punto da giungere allo sviluppo di una nuova tipologia nautica.

Ricordando, nel contempo, una migrazione professionale inversa, dal lago alla laguna: quella dei fabbri di Premana, alta Val Varrone, entroterra di Dervio, antiche miniere e maestri della forgia di lame d’acciaio, a un certo punto precettati dalla Serenissima per la lavorazione dei ferri da gondola, la caratteristica decorazione che queste innalzano a prua. Tant’è che il cognome Fazzini, tra i primi a Premana, è ancor oggi ben rappresentato a Venezia da famiglie che tuttora trattano di ferramenta. “Last but not least”, il Museo della Barca Lariana di Pianello, che ha riunito in una grande sala di recente inaugurazione una flottiglia di gondole lariane “alla veneziana” da non credere. La più celebre è senza dubbio la gondola Arconati, recuperata da una rimessa della villa del Balbianello dal fondatore del museo, il compianto Gian Alberto Zanoletti, sostituitosi in extremis a un acquirente che mirava a ridurla a mobile bar. È una gondola della seconda metà dell’Ottocento, che può dirsi sicuramente “veneziana”: per sostanziale corrispondenza al modello originario, innanzi tutto, ma anche per un dettaglio inequivocabile, un appunto in gergo lagunare vergato a matita dal costruttore al suo interno. Le virgolette, però, stanno a significare che non è possibile dire se trattasi di costruzione veneziana nel senso geografico del termine o di costruzione lariana da parte di maestranze veneziane.

In una stampa del 1717, conservata al Museo Correr di Venezia, compare una gondola che assomiglia straordinariamente, tanto nello scafo, quanto nel ferro, a uno degli esemplari del museo della Barca Lariana

Poi ci sono altre gondole, di più incerta interpretazione, comunque testimoni del progressivo passaggio di consegne a favore della cantieristica locale. Ed è a questo punto che Munerotto avanza un’ipotesi intrigante: in una stampa del 1717, conservata al Museo Correr di Venezia, compare una gondola che assomiglia straordinariamente, tanto nello scafo, quanto nel ferro, a uno degli esemplari del museo. Una corrispondenza tale, da non poter essere casuale. Chissà, forse in futuro nuove tecniche di datazione dei materiali consentiranno di sciogliere la questione ed è per questo che le gondole del museo sono conservate con una cura per così dire archeologica, rispettando anche la patina dei loro anni. Quanto a un possibile revival, in anni recenti c’è stata qualche manifestazione sportiva lariana durante la quale ha fatto notizia l’amichevole partecipazione della gondola di una remiera veneziana. Al di là di questi episodi dal sapore folcloristico, c’è da scommettere che prima o poi a qualcuno verrà l’idea di riportarne una come attrattiva turistica, magari facendo consapevolmente leva sul kitsch, salvo poi scoprire che si tratterebbe dell’involontario recupero di una significativa pagina della nautica lariana.

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