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Domenica 16 Novembre 2025
Quell’amore-odio tra l’uomo e gli alberi
Non basta celebrarli con una “festa comandata” dedicando loro la giornata del 21 novembre. Nel libro “Fermiamo la mattanza” la denuncia della perdita di 5 milioni di ettari di verde all’anno
In pieno autunno, una bambina si rivolge a un grande albero: «Non bastavano l’ossigeno, i frutti, l’aria pulita, il fresco che ci regali; adesso ci dai anche le tue foglie…». Questa cartolina di anni fa è un omaggio didascalico alla generosità della componente arborea, nella repubblica delle piante. Già: parlare di «regno» non rende giustizia al mondo vegetale, capace oltretutto di indicare soluzioni per il caos del clima e per il futuro dell’umanità, per l’ambiente e la salute, come insegna l’esperto di neurobiologia vegetale e docente universitario Stefano Mancuso, autore fra l’altro di “Plant Revolution” (Giunti 2017) e de “La nazione delle piante” (Laterza, 2019).
L’utile bellezza degli alberi viene così descritta dal missionario Flavio Pante che opera nella Repubblica democratica del Congo: «Qui li chiamiamo “i nostri verdi fratelli silenziosi”; ci proteggono, attenuano la forza del vento e delle piogge torrenziali, quelli secolari sono anche un riferimento negli spostamenti. Nella foresta, i tronchi caduti fanno da ponti...».
Multifunzionali per antonomasia, dovunque gli alberi fanno anche da protettori della biodiversità: come singoli individui e nel loro insieme, sono casa per tanti esseri. Il documentario” La quercia e i suoi abitanti”, del 2022, è un ritratto pulsante della vita selvatica animale intorno a una farnia risalente al 1810.
Le foreste salvifiche
Nient’affatto individualiste, le piante legnose perenni si scambiano elementi vitali; soprattutto gli alberi madre, i più grandi, trasferiscono nutrienti a quelli più piccoli e in crescita. Inoltre, il fisico e botanico indiano Jagdish Chandra Bose (1858-1937) fu il primo scienziato a scoprire che le piante – non solo gli alberi – sono sensibili e reagiscono agli stimoli.
Ma ci chiediamo con apprensione: questa sensibilità vegetale comprende anche il dolore fisico, la pena che nel mondo umano e animale è rilevata dai nocicettori e dalla coscienza? Per Stefano Mancuso, «dal punto di vista strettamente scientifico non lo sappiamo. Ma ritengo di no, perché nelle piante quel tipo di dolore non avrebbe senso – non possono nemmeno scappare. E soprattutto è sbagliato guardare a loro come se fossero animali. Di una pianta si può rimuovere fino all’80% del corpo e può ancora vivere».
“Alberi: fermiamo la mattanza” (Terra nuova 2025) è un libro-inchiesta e al tempo stesso un manuale per l’azione. Afferma l’autrice Linda Maggiori: «Sono i nostri migliori alleati, le ultime colonne del cielo. Dove facciamo disastri, loro possono riparare i danni». Oltre a depurare l’aria – e con le radici l’acqua – riducendo gli inquinanti, accumulano e stoccano il carbonio atmosferico nel legno e nelle foglie, proteggono il suolo dall’erosione, preservano le risorse idriche, mantengono l’umidità, svolgono un’importante azione di regolazione della temperatura, e in un certo senso «fabbricano la pioggia».
«Ci salveranno, se noi salviamo loro». Purtroppo il sistema satellitare Global Forest Watch che monitora la copertura forestale planetaria rivela che ogni anno questi presidi vitali perdono oltre 5 milioni di ettari. Alla Conferenza sui cambiamenti climatici (Cop30) in corso a Belém in Brasile è stato lanciato il Tropical Forest Forever Facility (Tfff): un fondo globale che mira a finanziare la conservazione delle foreste tropicali, premiando i paesi per mntenere e ripristinare questi ecosistemi vitali..
Cinture protettive
Dunque: primo, non distruggere le foreste esistenti. Ma è anche essenziale ripopolare, utilizzando le specie adatte ed evitando le monocolture. Un romanzo di Jean Giono del 1953, “L’uomo che piantava gli alberi” (Salani, varie edizioni), ha contribuito a ispirare tante persone e comunità. Il protagonista, Elzéard Bouffier, nei decenni riesce a rinverdire lande desolate e spopolate in Francia. L’intento dell’autore, nel lontano 1953? «Rendere piacevoli gli alberi, o meglio rendere piacevole piantarli».
Si chiama “Trillion Tree Campaign” un mega-progetto internazionale per piantare in modo saggio mille miliardi di alberi. Senza che diventi una scappatoia per non cambiare gli altri fattori che distruggono il clima. Nel 2008 l’Unione africana ha varato l’iniziativa transnazionale “Grande muraglia verde” per fermare il deserto del Sahara, dal Senegal fino a Gibuti attraversando tutta l’Africa. Oltre a contrastare i cambiamenti climatici, si intende migliorare la sicurezza alimentare e idrica e creare posti di lavoro. Il progetto va a rilento, ma il sogno è che, creando reddito e migliorando le condizioni di vita, si costruisca anche una barriera nonviolenta contro il terrorismo che da anni dilaga nel Sahel.
Ricordiamo poi il Green Belt Movement creato da Wangari Maathai, premio Nobel per la pace: un tentativo di fermare la desertificazione in quindici paesi africani. In Burkina Faso, l’uomo che ha piantato più alberi è stato, a partire dagli anni 1970 durante una grande siccità, il contadino Yacouba Sawadogo, pioniere della rigenerazione naturale, con specie autoctone e tecniche tradizionali.
I cambiamenti climatici planetari rendono tutto più difficile per la stessa comunità arborea, sommandosi a interessi speculativi. O a necessità di sopravvivenza: come il ricorso alla legna da ardere per cuocere i i cibi, dove non ci sono altre fonti energetiche.
Ma anche dalle nostre parti, una “mattanza” ai danni delle piante legnose perenni avviene nelle città come nei boschi, scrive Linda Maggiori. Eppure, nei centri urbani gli alberi, soprattutto se grandi, assorbono le polveri sottili, attenuano il calore, attutiscono i rumori, favoriscono la percolazione delle falde e la fitodepurazione. Più alberi possono ridurre la mortalità umana. Ma sono nel mirino. Abbattimenti, interventi pretestuosi e incauti, potature sbagliate, uso speculativo di fondi pubblici (il famoso Pnrr!). Aggirando i divieti, molti tagli avvengono anche in primavera ed estate, distruggendo i nidi. «In ogni città occorrerebbe istituire una commissione di “garanti del verde”», suggerisce Daniele Zanzi, uno dei maggiori esperti di verde e arboricoltura.
Alluvioni e biomasse
Non di rado, gli alberi sono usati come capro espiatorio in caso di alluvioni. Si fa tabula rasa con la scusa di mettere in sicurezza i fiumi; anche se è la vegetazione ripariale a proteggere contro l’erosione delle sponde.
Negli stessi boschi, tanti interventi mangiano gli alberi. La pratica del ceduo - una sorta di monocoltura. Il business delle biomasse legnose - considerate a emissioni zero, ma così non è: bruciando un albero di 50 anni, ne occorreranno altrettanti per rimpiazzarne, con un altro individuo, la funzione di sequestro della CO2. Non sono pochi gli alberi tagliati per evitare gli incendi, invece di presidiare il territorio e predisporre interventi tempestivi.
Anche diverse infrastrutture possono rivelarsi nemiche dei verdi fratelli silenziosi. Impianti sciistici, opere energetiche, perfino le basi militari. E la pessima gestione del parassita xylella sugli ulivi pugliesi.
Per fortuna, riempie intere pagine di “Alberi: fermiamo la mattanza” l’elenco dei comitati e delle associazioni attive nella difesa degli alberi in tutta Italia. Con l’Organismo nazionale difesa degli alberi (Onda) a offrire coordinamento e supporto. Fra le vittorie verdi, eccone una dal forte simbolismo: nel Salento, la popolazione è insorta quando la Porsche ha deciso di tagliare un bosco per ampliare il circuito esistente. E il silenzioso e benefico ecosistema ha avuto la meglio su uno pseudo-sport affamato di energia fossile.
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