Autismo, che risultati con la diagnosi precoce. Ma occhio ai segnali

Il workshop Costanza Colombi, psicologa e ricercatrice: «Un primo trattamento su un bimbo di cinque mesi ha permesso un normale sviluppo linguistico e cognitivo»

Identificare l’autismo nei primi mesi di vita apre uno spiraglio alla prevenzione.  Costanza Colombi, psicologa e accademica dell’istituto di ricerca “Stella Maris” e docente negli Stati Uniti all’università del Michigan, si è confrontata con gli esperti della Fondazione Villa Santa Maria circa le nuove frontiere sul trattamento dello spettro dell’autismo. 

I campanelli d’allarme

«È da circa tre anni che ho iniziato a identificare presto l’autismo per dare una risposta alle famiglie - così ha spiegato durante la quarta edizione di “Italy at Insar”, workshop organizzato dalla Fondazione Villa Santa Maria che si è tenuto la scorsa settimana a Como e che fa riferimento al più importante congresso mondiale sui disturbi dello spettro autistico -. Il primo bambino che ho trattato aveva cinque mesi. Intervenire subito significa ottenere un impatto maggiore alla luce della grande plasticità che i bambini hanno nelle primissime fasi della vita. Io tempo fa avevo un’idea dell’autismo simile a quella di una sindrome, con una traiettoria abbastanza predeterminata. In realtà la mia percezione sta cambiando, alcuni studi mostrano traiettorie evolutive. L’argomento è ancora molto aperto e le iniziative precoci possono dare un contributo. Fino a pochi anni fa nessuno ipotizzava una possibile prevenzione». 

In media si arriva alla diagnosi a quattro anni, troppo tardi per accompagnare i bambini verso un percorso di miglioramento. Occorre però accorgersi subito dei possibili campanelli d’allarme.

«Mi spiace dirlo, ma a livello di comunità e di professionisti della salute c’è scarsissima attenzione – ha detto Colombi –. Il livello socio comunicativo del bambino non viene esaminato, si tende solo a guardare gli aspetti molto deficitari. Paralisi e sindromi molto evidenti. Nessuno, pediatri compresi, insegna alle mamme a riconoscere i segnali da cogliere». 

L’esperta ha mostrato durante il convegno alcuni casi. Dei bambini molto passivi, con poca vocalizzazione, incapaci di mantenere un contatto oculare. Dei piccoli sempre concentrati su un oggetto e non sulle persone attorno. L’orientamento di questi bambini resta fissato e non cambia anche quando è la mamma a spostarsi, ad allontanarsi. «C’è una iperfocalizzazione – ha spiegato ancora Colombi – succede non perché il cervello non sia in grado di recepire altro, ma perché filtra tutto il resto».

I “fantasmi” nella testa

Ci sono degli identificatori, degli esami da fare, l’elettroencefalogramma può essere d’aiuto. L’autismo si può riconoscere subito. Colombi ha poi condiviso un primo trattamento eseguito dai cinque mesi di vita su un bambino gravemente passivo. Un piccolo che non guardava la madre negli occhi, che aveva comportamenti ripetitivi, senza gestualità e voce tanto da suggerire a torto una possibile sordità. Dopo continui trattamenti che hanno coinvolto la famiglia questo bambino nelle fasi della crescita ha mostrato evidenti miglioramenti. Superati i tre anni tutti i test hanno indicato un normale sviluppo linguistico e cognitivo, con parametri addirittura superiori alla media.

«Non si può generalizzare, i nostri studi sono ancora ridotti in termini numerici – ha detto Colombi –, ma credo che sia molto importante investire sull’identificazione precoce dell’autismo e sui successivi trattamenti. Ora stiamo arruolando un primo gruppo di bambini sotto ai dodici mesi. Tutti i genitori che arrivano alle nostre porte hanno bisogno d’aiuto. La maggior parte purtroppo di solito non riceve risposte altrove. Molte mamme hanno alle spalle storie di sottovalutazione che creano danni enormi. Si sentono ripetere che ogni bambino ha i suoi tempi, che sono solo fantasmi nella testa, che anzi sono fortunate perché dove lo metti quel piccolo resta, mangia e dorme senza fare i capricci».

Inutile dire, anche se non è affatto facile, che al contrario non bisogna sottovalutare difficoltà e dubbi già dai primi mesi di vita.

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