Immunodeficienza: in tanti ne soffrono, in pochi lo sanno. Cosa fare quando le difese non funzionano?

L’approfondimento Si stima che il 70-90% delle persone che ne soffrono non abbiano una diagnosi prima di dieci anni. I sintomi sono principalmente a carico del tratto respiratorio, con bronchiti ricorrenti, raffreddore, sinusite

Le immunodeficienze sono un gruppo di malattie rare congenite e croniche che sono causate da alterazioni del sistema immunitario e che vanno a comportare un’aumentata suscettibilità alle infezioni. Ne esistono circa 300 diverse forme primitive e si stima che il 70-90% delle persone che ne soffrono non abbiano una diagnosi.

Sei milioni di persone in tutto il mondo potrebbero così avere una immunodeficienza primitiva e non saperlo, quindi c’è molto sommerso, come conferma Giulia Di Colo, immunologa dell’Unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie rare dell’Irccs Ospedale San Raffaele, diretta dal professore Lorenzo Dagna. «In questa rarità di immunodeficienze – spiega la specialista - esistono delle forme più frequenti rispetto ad altre. Quelle con cui noi specialisti abbiamo più spesso a che fare sono le forme umorali, che sono caratterizzare da un difetto nella produzione di anticorpi».

L’immunodeficienza variabile

Un esempio è quello di persone che si sottopongono a un vaccino, come quello anti Covid-19, e l’esame sierologico, cioè l’analisi del numero di anticorpi che si sarebbero dovuti formare a seguito della somministrazione, non è sufficiente a dare delle reazioni all’infezione, perché la risposta immunitaria non è stata adeguata. Tra le immunodeficienze legate alla risposta anticorpale, quella più frequente è l’immunodeficienza comune variabile, che rappresenta circa il 15% di tutto il gruppo di queste malattie primitive.

«Le manifestazioni – prosegue Di Colo – sono legate sostanzialmente ad infezioni. I pazienti solitamente arrivano in ambulatorio e ci riferiscono che hanno spesso infezioni di tipo acuto oppure cronico, cioè non riescono a liberarsi da quella infezione. Dopo un ciclo di terapia antibiotica, ad esempio, un paziente senza problemi guarisce, mentre questi pazienti anche dopo due, tre cicli, continuano ad avere problemi con il germe specifico». I sintomi sono principalmente a carico del tratto respiratorio, con bronchiti ricorrenti, raffreddore, sinusite e nei casi più gravi anche polmoniti. L’altro sistema spesso colpito è quello gastro-enterico come diarrea, perdita di peso e altre complicanze. «Il problema è che questi sintomi sono spesso generici – aggiunge l’immunologa – quindi le persone si rivolgono al proprio medico curante ma non sempre in un primo momento si va a pensare alla possibilità di un problema di funzionalità del sistema immunitario, quindi la diagnosi non arriva, oppure arriva molto tardi. La latenza media stimata è di dieci anni tra l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi vera e propria».

Tra le altre manifestazioni, meno frequenti, ci sono le infezioni atipiche scaturite da batteri che nelle persone normalmente non danno manifestazioni gravi, ma in quelle con immunodeficienza determinano delle malattie. «Altri campanelli d’allarme possono essere dei processi infiammatori – dice ancora la specialista – che non passano e non se ne comprendono le cause, delle malattie autoimmuni dove il sistema immunitario si attiva troppo causando dei danni oppure delle neoplasie».

A seguito di una serie di studi sono state stilate delle liste con dieci segnali da tenere in considerazione per la popolazione adulta. Se si presentano due o più sintomi ricorrenti è opportuno segnalarlo al proprio medico: 1) avere più di due otiti in un anno, 2) più di due sinusiti in un anno, in un paziente non allergico, 3) almeno una polmonite l’anno per più di un anno, 4) diarrea cronica con perdita di peso, 5) infezioni virali ricorrenti (raffreddore, herpes, verruche e condilomi), 6) frequente necessità di antibiotici per via endovenosa, 7) ascessi ricorrenti della cute e degli organi interni, 8) candidiasi orale o cutanea persistente, 9) infezioni da micobatteri atipici, 10) familiarità per immunodeficienza primitiva. «Per quanto riguarda la diagnosi – spiega Di Colo – a seconda dei casi possono essere richiesti degli esami come l’emocromo con formula che consente di escludere delle citopenie, l’elettroforesi delle proteine sieriche che è una sorta di grafico delle proteine che abbiamo nel sangue e in particolare le gammaglobuline che spesso nei pazienti con immunodeficienza umorale sono molto basse. Se le gammaglobuline sono basse andiamo a richiedere degli esami più specifici per le immunoglobuline IgG, IgA e IgM».

Esistono anche esami di secondo livello che vengono eseguiti sia in caso di alterazioni di quelli di primo livello, sia se nonostante valori normali resta un forte sospetto clinico. Questi esami di secondo livello, che vengono prescritti anche in base a specifici criteri diagnostici, possono essere eseguiti solo in centri specializzati in quanto richiedono dei laboratori dedicati.

Le immunoglobuline

«Il cardine della terapia delle immunodeficienze umorali – precisa l’immunologa – è il trattamento sostitutivo con immunoglobuline che sono degli anticorpi che ci difendono dalle infezioni. Si ottengono dalla donazione del plasma. Vengono somministrate per via endovenosa con il paziente che viene in ospedale per essere sottoposto a una flebo, oppure per via sottocute con il paziente che può eseguire la terapia iniettandosi nella pancia o nella coscia il preparato. Questa modalità può essere eseguita da una volta alla settimana fino a una volta ogni tre, quattro settimane, a seconda delle esigenze del paziente stesso». Su questi pazienti in cura con immunoglobuline viene eseguito un follow up che consente il trattamento precoce in caso di comparsa di sintomi di infezione. «In questi pazienti si tende ad essere cauti – conferma – perché se si lascia progredire l’infezione è più complesso contrastarla. Il trattamento viene eseguito in maniera specifica, quindi, ad esempio, ad un paziente con bronchite ricorrente si fa raccogliere un campione di espettorato per capire quale germe o batterio sia implicato e dare una terapia antibiotica mirata, anche perché possono essere coinvolti germi più rari rispetto a situazioni normali».

La profilassi antibiotica

Altra strategia terapeutica è quella di fare una profilassi antibiotica per evitare l’infezione. «Questo succede – prosegue Di Colo – soprattutto in quei pazienti che hanno le cosiddette bronchiectasie, una complicanza polmonare causata da bronchiti o polmoniti ricorrenti, con il bronco che si dilata e il muco infetto tende a depositarsi favorendo le complicanze. Quindi andiamo a prescrivere un antibiotico, generalmente un macrolide, che deve essere assunto tre volte a settimana in modo costante». Le vaccinazioni sono raccomandate, anche se per alcuni pazienti ce ne sono di controindicate come quella della febbre gialla. «L’aderenza alle terapie è sempre molto buona – aggiunge la specialista – anche perché molto spesso, come detto, la diagnosi arriva dopo anni e questo ha un grosso peso anche dal punto di vista psicologico. Le terapie consentono una migliore qualità di vita e per questo i pazienti sono molto collaborativi».

Dal medico anche la conferma che a seguito della pandemia le persone sono più attente al proprio sistema immunitario. «Posso confermare che alcune diagnosi recenti – conclude – sono arrivate proprio perché queste persone, a seguito della vaccinazione anti-Covid, prendevano comunque l’infezione e sottoponendosi a un sierologico, avevano anticorpi insufficienti per una persona vaccinata e che aveva anche superato la malattia. Parlando con loro, studiando la loro storia clinica, si è capito che anche in passato avevano avuto infezioni ricorrenti e per questo, a seguito di una serie di esami, abbiamo diagnosticato un’immunodeficienza».

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