Parlare, ascoltare, capire: l’afasia può toglierci tutto

Intervista È un disturbo del linguaggio, la perdita parziale o completa della capacità di esprimersi spesso dopo un ictus. Il neurologo Giampiero Grampa: «Oggi si può curare: si allarga la finestra dei pazienti che possiamo trattare»

In occasione della giornata mondiale dell’afasia, che cade il 15 di ottobre, Alice Onlus intende accendere i riflettori su questo grave disturbo. Una difficoltà del linguaggio spesso conseguenza dell’ictus, contro cui da anni si batte l’associazione comasca.

“L’afasia ti lascia senza parole” è lo slogan della giornata, il colore viola e la piantina di erica i simboli scelti. Ma il cuore dell’iniziativa è la divulgazione, informare e sensibilizzare i cittadini.

Dunque, dottor Giampiero Grampa, primario della Neurologia dell’Asst Lariana: che cos’è l’afasia?

È un disturbo del linguaggio, la perdita parziale o completa della capacità di esprimersi e di comprendere parole verbali e scritte. Il problema nasce da un danno alle aree del cervello deputate al linguaggio.

Ovvero quali?

Può venire danneggiata l’area temporale di sinistra, che si occupa della comprensione del linguaggio, ma anche l’area frontale sinistra, che serve invece alla produzione del linguaggio. Il linguaggio, si evince, è una funzione tipica dell’emisfero sinistro del cervello.

E se vengono colpite entrambe le aree?

A seconda del danno cerebrale esistono diversi tipi di afasia. L’afasia può tradursi in una non comprensione del linguaggio, con una grande fatica a recepire gli altri. La persona di fatto riesce a esprimersi, ma non riesce a comprendere il prossimo. Al contrario l’afasia può anche manifestarsi come una difficoltà nell’espressione, pur conservando la capacità di comprensione del linguaggio. Quest’ultima è detta afasia motoria. La verità è che in ambito clinico i disturbi più spesso emergono insieme. Perché il danno cerebrale tocca più aree. Dunque le difficoltà, d’espressione e di comprensione, si mescolano, si completano. Isolando i pazienti.

Ma vale solo per la voce?

No, come detto vale per tutti i tipi di linguaggio. I casi più critici non riescono più nemmeno a leggere e a scrivere.

La disartria?

È una cosa diversa. L’afasia è un disturbo centrale, del cervello. La disartria è la difficoltà nel parlare che però è legata ad un problema dei nervi e dei muscoli che servono alla fonazione. È una cosa si può dire meccanica. Che colpisce i fasci che consentono la fonazione delle parole.

L’afasia è solo colpa dell’ictus?

Non solo, ma nella maggior parte dei casi sì, è così. Insorge spesso in acuto per una ragione vascolare, un ictus sia ischemico che emorragico. Quindi un ictus provocato dall’occlusione di un arteria, oppure dalla rottura di un’arteria con un travaso di sangue nel cervello.

Quanto spesso?

Le statistiche stimano che tra il 25% e il 40% dei casi di afasia siano legati ad un ictus. Nel nostro territorio direi che siamo più vicini alla percentuale più bassa. Si può dire attorno ad un terzo dei casi.

E gli altri?

Gli altri casi di afasia possono essere una conseguenza di grandi traumi. Cadute, incidenti, colpi che provocano danni cerebrali permanenti. Traumi gravi, almeno commotivi. Un’altra causa alla base dell’afasia sono i tumori cerebrali. Masse che ingrandendosi disturbano l’area deputata al linguaggio. E ancora gli ascessi cerebrali, ovvero delle sacche di pus all’interno del cervello e le encefaliti. L’encefalite è un’infiammazione del cervello che può dare stati confusionali e anche, appunto, afasia.

Rarità?

Esiste una forma di demenza, quindi siamo in tutt’altro campo, che si chiama afasia primaria. È una patologia con un decorso lento, il cui primo disturbo è proprio l’afasia. Questa demenza mina il linguaggio, ma è progressiva e neuro degenerativa e fa parte delle demenze fronto temporali.

La diagnosi?

La prima cosa utile per diagnosticare l’afasia è una visita neurologica. Il neurologo visitando il paziente può comprendere se è afasico o meno. Ci sono poi i test neuropsicologici, delle batterie di esami specifici . Infine possiamo disporre delle indagini di neuro imaging, la Tac e la risonanza magnetica, per vedere quali aree del cervello sono state colpite.

La prognosi?

Il messaggio più importante da lanciare alla cittadinanza è che l’afasia si può curare. A parte l’afasia dettata dalla forma di demenza progressiva sul resto possiamo lavorare. Certo occorre rimboccarsi le maniche, non è semplice ed anzi è faticoso, ma possiamo fare qualcosa per migliorare la vita di queste persone. Bisogna anche essere sinceri e onesti: la maggior parte dei pazienti afasici gravi non recupera completamente le sue funzioni normali. Ma è facile capire che riuscire a recuperare delle espressioni verbali anche soltanto semplici e una capacità di comprensione pur limitata è un cambiamento immenso per un soggetto afasico.

Come si fa?

Con la logopedia. È, a tutti gli effetti, un tipo di riabilitazione. Sono percorsi molto lunghi, con esercizi quotidiani, con risultati da ottenere lungo il cammino, con miglioramenti che si possono vedere anche dopo sei mesi, un anno. Non bisogna avere fretta e serve molta energia e costanza.

Con un ricovero?

No, non è necessario andare in un centro riabilitativo, non per forza bisogna abitare in una struttura residenziale. La riabilitazione si può fare in ambulatorio, senza ricovero. Adesso poi spinti dagli anni di pandemia abbiamo incoraggianti percorsi anche online.

Alice Onlus?

Insieme ai parenti e ai familiari che hanno sempre un ruolo di primaria importanza anche le associazioni offrono un aiuto prezioso. Con Alice in particolare stiamo lavorando per cercare di tornare alla normalità. Affinché i volontari possano tornare negli ambulatori e dentro ai reparti come succedeva prima della pandemia. Sperando che il virus ci lasci in pace.

Esiste una forma di prevenzione?

Bisognerebbe in sostanza prevenire l’ictus, una volta che si manifesta è troppo tardi. Non si può far altro che correre in ospedale, è una patologia tempo dipendente. Parlare di prevenzione significa guardare al nostro quotidiano, occorre lavorare sugli stili di vita, vivere nella maniera quanto più sana possibile.

E la lotta all’ictus?

Si sta allargando la finestra dei pazienti che possiamo trattare. Succede perché anche grazie alla tecnologia possiamo studiare con più attenzione i pazienti. Le Tac perfusionali ci permettono di valutare in modo più approfondito dei pazienti che anni fa forse non avremmo trattato. Così oggi possiamo meglio aiutare un maggior numero di persone. Stiamo facendo passi avanti con la finestra temporale della trombolisi venosa sistemica e soprattutto con la radiologia interventistica.

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