Siete sommersi dagli oggetti? Attenzione, è un disturbo da curare

La nostra psiche Si chiama disposofobia, ne soffre dal 2 al 5% degli italiani: sono gli accumulatori, spesso inconsapevoli della necessità di essere curati

Le persone che soffrono da disturbo di accumulo (o disposofobia) hanno una enorme difficoltà a separarsi o a liberarsi di oggetti, anche se questi non hanno un valore economico o affettivo. In Italia la prevalenza è tra il 2 e il 5% della popolazione, anche se le percentuali potrebbero essere più alte visto che c’è ancora molto sommerso per la vergogna di chi ne soffre di chiedere aiuto.

Accatastare

«Negli ultimi anni c’è stato un importante cambiamento nella classificazione di questa condizione – spiega Antonella Somma, ricercatrice senior di Psicologia Clinica della Facoltà di Psicologia Unisr – fino al 2013, infatti, era considerato una componente del Disturbo Ossessivo Compulsivo, ma dopo questa data è stato classificato come un disturbo autonomo, che merita un’attenzione clinica e quindi delle cure specifiche».

La considerazione che gli esperti hanno fatto è stata che si tratta di un comportamento in continuità con qualcosa che tutti noi facciamo, ma che a un certo momento porta a un eccesso, fino ad occupare tutta l’abitazione e a volte anche oltre. «Possiamo prendere come esempio il collezionismo – aggiunge la ricercatrice -. Un collezionista di auto, seppur ingombranti, ha una gestione degli spazi funzionale ad ospitarle. Diversa è la persona accumulatrice che inizia a riempire gli spazi in modo progressivo e senza che queste cose possano servire a qualcosa».

Questo continuo accumulare oggetti porta a una e vera compromissione della vita della persona, perché a un certo punto, tutto ruota attorno a questo accatastare cose che non servono, ma di cui non ci si riesce a disfare perché questa azione crea uno stato di ansia e di angoscia. Ma cosa porta a tutto questo? «Parlare di motivazioni in termini generali è difficile – dice ancora Somma – sicuramente sappiamo che non c’è necessariamente un valore economico degli oggetti. Ogni storia però è a sé. Molto spesso queste persone riportano di voler evitare gli sprechi, anche se una volta che si manifesta la condizione non sono neanche più in grado di tenere puliti i luoghi dell’accumulo».

L’età di esordio è molto spesso precoce con l’emergere di una tendenza all’accumulo attorno all’adolescenza, anche se il disturbo diventa più evidente in età più adulta quando la persona solitamente va a vivere da sola. «Inoltre, è importante distinguere – precisa l’esperta - il disturbo di accumulo da condizioni neurologiche che in età avanzata possono portare le persone a manifestare le caratteristiche del disturbo. Quando l’esordio è tardivo è importante indagare per capire se questo comportamento è il sintomo di qualcosa di diverso».

Gli “accumulatori” spesso hanno una scarsa consapevolezza della malattia e questo li porta a non chiedere aiuto. Quando comprendono la situazione spesso si isolano e non permettono alle persone di entrare nelle loro abitazioni per vergogna.

«Molto spesso sono i familiari a chiedere aiuto – conferma la ricercatrice – perché non si riesce più ad accedere alle stanze, per non parlare poi delle problematiche igieniche dei luoghi».

Reazioni di disperazione

Un aspetto che spesso si verifica, inoltre, è quello di reazioni di disperazione o rabbia da parte della persona che soffre di questo problema quando un famigliare o un amico cerca di prendere in mano la gestione degli ambienti e di gettare gli oggetti.

Il trattamento di questo disturbo prevede sedute di terapia cognitivo comportamentale molto utili nel limitare il più possibile questa “abitudine” all’accumulo. «Recenti studi condotti negli Usa – conclude Somma - hanno dimostrato una riduzione della sintomatologia, anche se spesso non c’è una completa estinzione. Resta il fatto che le terapie sono fondamentali per ridurre il disagio per la persona e la sua famiglia».

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