A Como lo sport
deve fare biscotto

Un’intesa, esplicita o implicita, tra squadre sportive si definisce in gergo tecnico “biscotto” ed è, ça va sans dire, una brutta cosa. Mina alla base il concetto stesso di sport e provoca lo smottamento di tutti i valori, non pochi, che negli anni a esso abbiamo affidato: coraggio, lealtà, impegno, determinazione, divertimento.

“Biscotto” proibito, dunque, quando si gioca ma, fuori dal campo, dalla piscina o dalla palestra, le cose stanno diversamente. A volte “fare biscotto” non è soltanto utile, ma indispensabile. E non è affatto una brutta cosa: la cooperazione porta alla luce altri valori, tra i quali la generosità, la tolleranza, la comprensione reciproca.

È in questa prospettiva che dobbiamo guardare alla ventilata “alleanza” tra le società sportive comasche. Un progetto che, se andrà in porto, dovrebbe aiutare le società suddette ad affrontare la presente, difficile contingenza economica e sociale. C’è una ragione in più per sperare che l’operazione riesca, oltre a quella, evidente, legata al benessere dello sport comasco. Una ragione e una speranza: che dalle società sportive possa venire un esempio di buona volontà e fair play che non sempre si riscontra nelle varie componenti economiche, sociali e amministrative cittadine.

Bello sarebbe se fosse proprio lo sport a mostrare come si fa gol (o canestro: stavolta è il caso di preoccuparsi della par condicio) alle tante “squadre” che, sull’ideale campo di gioco della convalle, fanno un po’ partita a sé, spesso – quasi sempre – con ottime intenzioni, ma con una visione del progetto limitata all’interesse di bottega.

Mettere insieme le società sportive non sarà facile. Ognuna regge con giusto orgoglio la propria bandiera e non vuole correre il rischio di vederla confusa nella massa. Chi scrive ricorda che, da giovane cronista, si occupò, trent’anni fa, di un progetto nato per avviare strette forme di collaborazione tra le squadre cittadine. L’idea era di ottimizzare, come si dice, l’uso dei campi, collaborare nell’organizzazione delle formazioni giovanili e soprattutto confrontarsi con il Comune sull’affitto degli impianti. Nel 1985 venne dunque costituita l’Ussc (Unione società sportive comasche) che scelse come proprio presidente Vittorio Berni, dirigente dell’Ardita. A spingere le società sportive a formare l’inedito fronte solidale era stato l’aumento della tariffa per l’uso dei campi di calcio comunali, che l’assessorato allo Sport aveva fissato in 33mila lire all’ora: per questa ragione, ad aderire furono soprattutto le società che si occupavano di pallone, con l’eccezione notabile del Calcio Como.

I problemi che incombono oggi sulle società sono probabilmente diversi e di più generale portata ma l’esigenza di consorziarsi – senza arrivare alla fusione, nel rispetto della storia di ognuno – è la medesima: da soli non si fa tanta strada, diminuisce sia la forza contrattuale sia l’attrazione che in teoria è possibile esercitare su eventuali sponsor.

L’esperimento dell’Ussc resta agli archivi, come modello, da prendersi criticamente magari, ma da non ignorare. Ciò che più conta è che, come sempre, dallo sport arrivi un esempio per tutti.

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@MarioSchiani

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