A Pontida Salvini
“uccide” il padre

Può esserci una Pontida senza Bossi? O una Lega senza il suo fondatore? Da ieri la risposta a questa domanda è sì. L’ha sancito Matteo Salvini, che sul palco del pratone colorato di uno blu piuttosto americano al posto del tradizionale verde padano (altro segnale di rottura con il passato) ha impedito all’ex Senatur di pronunciare un discorso come aveva sempre fatto dalla prima volta della Lega nella città del Giuramento.

L’Umberto ne ha preso atto con amarezza e pacatezza: “Chiaro segnale che devo andarmene”, ha chiosato.

La rottura si è consumata in maniera definitiva. Le due leghe, quelle tradizionale sempre più evanescente del fondatore, e la nuova, trasformata da Salvini in maniera radicale, stavano convivendo con sempre maggiore fatica. Il graduale abbandono del Nord, di quell’identità padana costruita negli anni con forza e tenacia da Bossi, la mutazione in partito nazionale, populista e anti europeista, cosa che il Carroccio dell’Umberto non era mai stata, era in corso da tempo. Mancava però lo strappo finale con quello che era diventato un totem, la cui parabola politica si era chiusa non tanto con la grave malattia del 2004 quanto con la scandalo finanziario in cui era rimasta coinvolta la sua famiglia. Erano state le scope brandite da Roberto Maroni davanti ai militanti disorientati ad avviare il processo di epurazione. Ora “l’uccisione” del padre è stata completata da Matteo Salvini che ha rotto anche un altro “tabù” di Pontida: per la prima volta la parola tolta all’ex capo è stata data a un esterno, all’esponente di un altro partito: il presidente forzista della Liguria Giovanni Toti, trait d’union tra il segretario leghista e Silvio Berlusconi. L’obiettivo era quello di sancire un’alleanza elettorale che appare più complicata di quella costruita dall’ex Cavaliere e dall’ex Senatur. Proprio a causa della nuova natura della Lega, distante da una Forza Italia parte integrante del Ppe, e soprattutto per mire di leadership della coalizione da parte di Salvini. Bossi aveva sempre lasciato il pallino in mano a Berlusconi. Vero che il peso elettorale di allora dei due partiti vedeva un’egemonia netta degli azzurri, mentre adesso sia pure non di molto, conta di più la Lega. Ma non sarà facile per l’ambizioso Matteo rubare la scena a un Silvio, ringalluzzito e ringiovanito da un’estate di cure e riposo. L’Umberto che conosce bene il vivere del mondo, lasciava il proscenio al Cavaliere, salvo poi, dietro le quinte, portare a casa quasi tutto quello che voleva.

Adesso è cambiato tutto. Il divieto imposto a Bossi appare uno sgarbo sul piano umano e su quello politico. Ma è anche il sigillo sull’atto di nascita di una nuova Lega da tempo in gestazione che alle istanze di un tempo lascia solo il referendum di ottobre sull’autonomia in Lombardia e Veneto, voluto più dai due presidenti di Regione, Maroni e Zaia, che non dal segretario. Finisce davvero un’epoca che ha segnato in maniera profonda la storia del Nord e dell’intero paese.

Le vecchie parole d’ordine, in testa quella del federalismo, non si sentono più a Pontida. Salvini ambisce a costruire un partito che intercetti la quota dell’elettorato moderato più inquieto sulle tematiche della sicurezza, dell’immigrazione e delle difficoltà dovute alla crisi, in concorrenza con Forza Italia, attraverso il sistema elettorale proporzionale, per riuscire poi a imporre le condizioni dell’alleanza. Una strategia molto da Prima Repubblica se vogliamo, mentre Bossi fu uno dei principali protagonisti della Seconda. L’obiettivo è conquistare la guida del paese, il rischio quello di snaturare la storia e le ragioni che hanno determinato la nascita e lo sviluppo della Lega, ancora presenti nella società del Nord.

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