Al bar la giunta
fa brutta figura

«Contrordine compagni». Con questo motto, il grande Guareschi nelle sue vignette al curaro su “Il Candido” sfotteva i comunisti trinariciuti.

Il rosso della maggioranza che guida il Comune di Como però se c’è è molto pallido. E l’assessore comunale Paolo Frisoni di narici ne ha solo due. Ma possiede il fiuto politico di chi è stato svezzato nella Prima Repubblica. E forse deve aver annusato una brutta aria per il futuro dell’Amministrazione comunale sul provvedimento detto “dei tavolini” che è in realtà il regolamento per il decoro dei pubblici esercizi a Como.

E così il termine perentorio entro il quale bar e ristoranti devono adeguare e riformare i loro arredi è un po’ meno perentorio. Anzi, molto meno. Dal 2015 è stato spostato di tre anni. Dopo le elezioni per il rinnovo della squadra di palazzo Cernezzi, potrebbe chiosare chi ha l’abitudine di pensare male.

In realtà nulla fa pensare che la scelta sia legata a ragioni di bottega (in questo caso) politica. Però resta un mistero questo dietrofront peraltro condiviso da tutta la maggioranza del governo cittadino.

Il provvedimento in sé non fa una grinza. Se Como vuole attrarre un turismo di qualità (che peraltro è ancor quello che spende e i commercianti lo sanno) deve offrire oltre all’impeccabile panorama anche un vestito che non sia quello di Arlecchino con i locali pubblici l’uno diverso dall’altro nel modo di offrirsi ai clienti.

Certo, anche il pubblico deve fare la propria parte. E in questo caso, viste le condizioni di alcune zone anche del centro storico, il Comune non è proprio come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto. Anzi, non ci fossero alcuni cittadini a dare una mano in senso figurato e un paio di braccia in quello reale, la situazione sarebbe anche peggiore.

Ciò detto l’Amministrazione dovrebbe essere più coerente. Quando si imbocca una strada va percorsa sino alla fine. Che i commercianti (dal loro punto di vista anche magari non a torto) protestino, si sa. Ma è anche una sorta di riflesso condizionato di chi legittimamente pensa a tutelare i propri interessi a non è tenuto ad avere una visione lungimirante della città. Per coloro che l’amministrano, al contrario, quest’ultimo è un requisito indispensabile. Facile dire che nessuno è più lungimirante di chi addirittura guarda al 2018, cioè oltre la fine del mandato della Giunta Lucini. Le cose non stanno affatto così. Ancora una volta ci siamo messi in bocca a vanvera quella che sembra la parola magica: Expo. I visitatori della grande rassegna milanese troveranno i locali pubblici comaschi così come sono adesso. Niente di tragico, intendiamoci. C’è di peggio.

Quello che sembra funzionare a strappi è il motore di palazzo Cernezzi. Prima la vicenda del battello spazzino bloccato, poi i quindici mesi per portar via il frigorifero abbandonato vicino al ristorante di Villa Olmo, ora la strana correzione di rotta sul regolamento per il decoro. Tre indizi che potrebbero rappresentare una prova di qualcosa che non va e sarebbe meglio rimettere in moto.

La politica dovrebbe servire anche a questo: a favorire la collegialità e l’efficienza del governo della città.

Altrimenti sono soltanto chiacchiere e distintivo.

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