Alla città conviene
voler bene al Como

Chi scrive ha un ricordo personale d’infanzia, durante una vacanza nelle Marche, ma ancora vivo proprio per lo stupore che destò. Negli anni ’70, quando l’Ascoli fu promosso in serie A, la città era tappezzata di poster e striscioni che esaltavano l’impresa della squadra allora guidata da Carletto Mazzone. Stupore perché a Como non si era mai visto nulla di simile e neppure lp si sarebbe notato più avanti in occasione delle imprese della squadra cittadina.

Un aneddoto emblematico del rapporto tra Como e il Como che è tornato a galla in questi giorni, durante la grottesca telenovela dello stadio Sinigaglia che è ancora lontana dal concludersi.

Che il Como dovesse disputare questo campionato in serie B lo si sapeva dal 14 giugno giorno della partita di ritorno della finale playoff a Bassano del Grappa. Per vedere il debutto degli azzurri nel loro stadio si sono dovuti attendere quasi quattro mesi. Perché? Le ragioni e le responsabilità sono complesse. Forse la prima è la sorpresa per l’epilogo di un campionato di Lega Pro che neppure il più ottimista dei tifosi avrebbe immaginato solo due mesi prima. Poi c’è il lungo periodo di lontanza degli azzurri da una realtà, quella della serie B, in cui, negli anni è cambiato tutto dal punto di vista normativo.

Infine il Como, inteso come società si è trovato ad affrontare oltre ai lavori per l’adeguamento dello stadio anche la dantesca (nel senso di girone infernale) burocrazia italiana e di un Federcalcio la cui prontezza di riflessi è spesso regolata dalle opportunità politiche. Se per spostare una finestra occorre un battaglioni di timbri e nulla osta , figurati se si deve intervenire su una struttura pubblica delle dimensioni e delle condizioni di uno stadio costruito ai tempi “della buonanima” come si diceva una volta.

Tutto questo però giustifica i ritardi fino a un certo punto. Il sospetto che forse, se in città il ritorno della squadra nel calcio che conta fosse stato vissuto come accadde nelle Marche degli anni ’70, la telenovela sarebbe durata meno è tutt’altro che campato per aria. A Como, bisogna prendere atto, c’è ancora chi vive gli exploit degli azzurri come un problema e non come una risorsa, anche promozionale, per un territorio che ha sempre più bisogno di vivere di simboli e di bellezza. Per costoro la dimensione ideale è quella delle categorie calcistiche inferiori che generano meno disturbo la domenica e il sabato e non richiedono la costruzione di reticolati nella zona dei giardini a lago. Certo, la collocazione del Sinigaglia di fatto in centro e in una delle aree predilette da turiste e gitanti potrebbe non aiutare. A meno di non imparare a guardare lo stadio con gli occhi di Gianni Brera che, come è noto, lo definì il più bello del mondo.

Insomma, alla fine, è solo una questione di punti di vista. Se Como imparasse a voler più bene al Como potrebbe trarne anche dei vantaggi. Intanto salutiamo tutti in coro la serie B che, meglio tardi che mai, è arrivata anche da queste parti.

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