Berlusconi e il nemico
che non c’è più

Una settimana dopo la clamorosa affermazione di Matteo Renzi, sarebbe utile una lettura critica del risultato elettorale depurata della piaggeria con cui tanti solerti turibolanti hanno salutato la vittoria del premier.

Durante la campagna elettorale abbiamo assistito alla singolare anomalia di un contendente che, certo di perdere, in modo inusitato ha deciso di tirare la volata ad uno degli avversari. Su questo, tanti autorevoli commentatori hanno preferito glissare anche perchè, quando si rende onore ai vincitori, risulta sempre disdicevole fare gli schifiltosi.

Sarebbe, tuttavia, opportuno riconoscere che il comportamento tenuto dal Cavaliere durante la campagna elettorale suscita qualche perplessità. Berlusconi ha concentrato i suoi attacchi contro Grillo dimostrandosi perfino “affettuoso” con Renzi. In questo modo, ha accreditato il sospetto che abbia voluto favorire quel travaso di voti a favore del premier più volte segnalato dai sondaggi. Occorre ammettere che sono molteplici i segnali di stanchezza da cui si può ragionevolmente arguire la tentazione del Cavaliere di deporre le armi mettendo in liquidazione il suo partito. Per questo motivo, in Forza Italia sono numerosi quelli che guardano con sospetto questa singolare “intelligence” tra Berlusconi e Renzi. Il ritiro del Cavaliere consentirebbe a Renzi di realizzare la costruzione di un grande partito moderato di massa in grado di annettersi uno spazio “ecumenico” molto simile a quello avuto per decenni dalla Democrazia Cristiana. Non è un caso che, nel lessico di Matteo Renzi, sia scomparso ogni riferimento alla tradizionale distinzione tra destra e sinistra. Sarebbe, pertanto, fuorviante e riduttivo sostenere che si tratta di una vittoria storica della “sinistra”. Il Pd di Matteo Renzi è un partito di chiara matrice anglosassone, un grande contenitore dal programma eclettico e pragmatico che, in quanto tale, risulta rassicurante per la borghesia italiana e per l’establishment. Stiamo assistendo alla formazione di un nuovo blocco di potere che si sta progressivamente coagulando attorno alla figura di un leader che sa promuovere di sé un’immagine dinamica e riformista malgrado goda dell’appoggio della parte più conservatrice della società italiana (non si può fingere di ignorare che Renzi sia appoggiato da De Benedetti, Della Valle, Marchionne, Del Vecchio, Montezemolo e abbia goduto del sostegno di tutta la stampa e di tutte le televisioni). Piaccia o meno, dopo venti anni di Berlusconi, ci toccherà fare i conti a lungo con Matteo il Magnifico, un talentuoso animale politico figlio del suo tempo, scaltro, cinico, svelto quanto basta per capire che in Italia, per vincere, è sufficiente dire che si vuole cambiare l’Italia senza pretendere di cambiare gli italiani: questa è la grande intuizione di Renzi che lo rende diverso dalla sinistra, rimasta sempre elitaria, sussiegosa e malata di pedagogismo. Nel frattempo, se non vuole essere fagocitata dal dilagante renzismo, la destra italiana dovrà decidere se rassegnarsi ad un ruolo subalterno facendo da stampella al governo o se liberarsi definitivamente dell’ingombrante ipoteca del Cavaliere, di un uomo stanco e imbolsito che non ha più né ragioni, né interessi per battere un avversario che, grazie all’avvento di Renzi, di fatto non esiste più.

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