Caso mense, non devono
pagare i bambini

Il caso mense è un problema culturale oltre che sociale. Fa parte di quell’atavica e italica tendenza a farla franca fin che si può, contando sull’incertezza del quadro normativo e sul lassismo nell’interpretazione delle norme.

Quando poi, per necessità più che virtù, queste condizioni si allentano è difficile adattarsi. Il problema però, nella vicenda in questione, è che ci vanno di mezzo i bambini. E questo è intollerabile.

Il taglio delle risorse ai Comuni deciso dal governo centrale ha creato questa forma di federalismo fiscale alle vongole che costringe i sindaci a rischiare oltre il fondo del barile per recuperare ogni risorsa possibile e tentare di mandare avanti la baracca. Da qui la decisione di molti primi cittadini sulle mense e sul servizio scuolabus: linea dura. Chi non paga digiuna e resta a piedi. Salvo ovviamente i casi di indigenza su cui è chiamata a intervenire rete di assistenza sociale.

I sindaci fanno bene e sono nel pieno della ragione del diritto. Però i furbetti delle mense e degli scuolabus sembrano non intendere (salvo alcuni casi) che la musica è cambiata . Così finisce che a pagare sono isolo bambini. Un problema che è ben presente nelle scuole, dove infatti è scattata una sorta di disobbedienza civile che porta, giustamente, a somministrare i pasti anche ai figli degli utenti morosi. Le colpe dei padri, insomma, non devono e non possono ricadere sui figli. Ma neppure sulla collettività. Perché così va a finire che le rette mancate delle mense e del trasporto degli alunni le devono pagare, in forma diretta o indiretta, anche le famiglie che sono in regola con le mese (attraverso aumenti delle tariffe) o quelle che non usufruiscono dei servizi (con altre forme di imposizione).

Insomma ingiustizia chiama altra ingiustizia. Un modo per venirne fuori sarebbe quello di mettere i sindaci nelle condizioni di riscuotere le rette non pagate senza essere costretti a lasciare gli innocenti appiedati e con la pancia vuota. Gli strumenti legislativi ci sono: decreti ingiuntivi e pignoramenti. A patto che le pratiche possano essere evase con rapidità. Perché i Comuni hanno bisogno di incassare quei fondi senza dover attendere che gli azzeccagarbugli abbiano detto la loro. Certo, nel paese in cui chiedere di pagare le tasse è spesso considerato un intollerante sopruso perpetrato da uno Stato vessatore e alieno, questa strada non è facile da percorrere.

Ma c’è da chiedersi se i genitori che evadono questi tributi siano consapevoli dei danni che provocano ai loro figli. Sia esponendoli a figure imbarazzanti di fronte ai loro compagni di scuola e ai loro insegnanti, sia sotto l’aspetto educativo. Nel capolavoro di Dino Risi “I mostri” c’è l’episodio in cui Ugo Tognazzi insegna al figlio (un Ricky Tognazzi ancora bambino), un modo per eludere buona parte delle leggi che regolano la convivenza civile. Alla fine il padre Tognazzi la pagherà in una maniera atroce. È un’esagerazione cinematografica. Ma anche una metafora su cui riflettere.

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