Como, dopo il tetto
crollerà la casa?

Ieri negli ambienti del centrosinistra comasco girava questa battuta, invero amara: «Adesso che è venuto giù il tetto, crollerà la casa?». Dire che il tetto, per sua natura coprente, siano i dirigenti comunali Gilardoni e Ferro, arrestati, e la casa rappresenti al giunta Lucini, sarebbe un’affermazione grave, errata e imprudente. Ma è difficile, anzi impossibile, negare che questa vicenda giudiziaria sia del tutto immune da implicazioni politiche e amministrative.

Di mezzo, infatti, ci sono due capisaldi dell’azione dell’attuale squadra alla guida di palazzo Cernezzi: la terza variante del cantiere sul lungolago, che avrebbe dovuto rappresentare il punto di svolta della giunta Lucini dopo i disastri dei predecessori, e gli interventi di sistemazione di due piazze neopedonalizzate, uno considerati dal primo cittadino e dall’assessore di punta, Daniela Gerosa, tra i più qualificanti dell’intero mandato.

È d’uopo precisare che l’apertura di un’inchiesta giudiziaria così come i provvedimenti di custodia cautelare non rappresentano alcunché di definitivo se non dopo il terzo grado di giudizio. Altro però è la valutazione politica. La domanda che si è sempre posta in tanti di casi come questo è: potevano non sapere gli amministratori? E la seconda, meno maliziosa ma più impudente: se non sapevano come possono pensare di restare ancora al proprio posto? Alla guida di un Comune in cui su alcuni degli appalti più importanti si applicavano procedure illegittime, secondo le accuse della procura? Senza disturbare ancora la povera consorte di un grande condottiero e dittatore romano, è inevitabile avviare una riflessione. Anche perché, uno dei destinatari delle misure restrittive e la cui posizione, stando agli atti, apparirebbe maggiormente compromessa, è quel Pietro Gilardoni che ha sempre goduto di una grande e palese fiducia da parte del sindaco Lucini fino al giorno delle sue dimissioni dagli incarichi collegati al cantiere maledetto. Non è secondario sottolineare come le accuse mosse dalla procura a Gilardoni e Ferro siano del tutto sovrapponibili alle contestazioni opposte dall’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantoni, peraltro chiamata in causa dalla stessa giunta Lucini, alla variante di progetto del cantiere voluta dal primo cittadino con l’obiettivo di sbloccare i lavori. Obiezioni in parte rigettate dal sindaco, soprattutto nel suggerimento sull’opportunità di mantenere il direttore dei lavori, Cioè Gilardoni.

La riflessione va anche estesa quell’ormai beffardo “cambio di passo” rispetto alle pastoie e agli impacci della passata amministrazione da cui peraltro, e non va dimenticato, si deve il peccato originale del colossale disastro del cantiere del lungolago. Nel momento in cui l’azione della giunta di centrosinistra sulla medesima opera e sugli interventi nelle piazze sottratte alle auto è più che lambita da un sospetto di malaffare, pur attribuito dagli inquirenti e anche dalle normative, all’esclusiva azione dei dirigenti comunali, si può non affermare che il passo è piuttosto incerto e il rischio di inciampo alquanto elevato?

La risposta, in questo caso, sta tutta nella politica. Quella politica intesa non nel senso deteriore con cui è spesso dipinta, ma in quello propulsivo e di guida dell’azione di un’amministrazione, specie se quest’ultima dimostra di non avere una mano molto salda. Quella politica che, forse anche per volontà del primo cittadino, è rimasta spesso fuori da palazzo Cernezzi e quando ha tentato di metterci piede ha trovato la stalla aperta con buona parte dei buoi ormai allo stato brado (vedi il caso della vendita svendita della quota di Acsm-Agam).

A un anno giusto dal rinnovo dell’amministrazione comunale, questa nuova vicenda giudiziaria che si aggiunge all’altra meno eclatante ma che ha la stessa matrice, il cantiere su cui è impossibile trovare altri aggettivi, e vede implicato lo stesso sindaco oltre al suo predecessore, Stefano Bruni, ora rinchiuso a San Vittore per altre faccende, non può non pesare sul bilancio complessivo dell’azione di governo.

L’ultima domanda a cui dovrà se vorrà, rispondere la politica, è la più difficile. È possibile, anche se l’inchiesta giudiziaria dovesse fermarsi qui, presentarsi agli elettori il prossimo anno o quando sarà con la stessa squadra? Di solito quella che non si cambia dovrebbe essere la vincente. Qui invece, si perde di brutto. Purtroppo a soccombere è soprattutto Como.

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