Como malata
E non solo nell’aria

Como non è rock, direbbe Celentano che abita, tra l’altro, a poco più di venti chilometri da qui. Perché Como è lenta. Ed è lenta perché è soffocata dal traffico che, a sua volta, produce smog. Un paradosso per la città lombarda turistica per eccellenza.

Non che le altre città della fascia pedemontana siano messe meglio: tutte con gli stessi problemi di code, parcheggi introvabili e polvere sottili. Tutte belle e impossibili, soprattutto per viverci. Eppure, Como poteva salvarsi. Ed è questo che fa rabbia. Sarebbe bastato un progetto lungimirante, come voleva essere la realizzazione di quella metropolitana leggera di cui si parla da tanti, troppi anni che il sindaco Stefano Bruni aveva promesso come obiettivo del suo secondo mandato, ma che è rimasta un miraggio. Destinata a restare nel libro dei sogni, ora che nel frattempo il primo cittadino è cambiato, ma il successore, Mario Lucini, non ha più fondi neanche per asfaltare le strade.

Di fatto, Como ha (aveva?) le carte in regola per sfruttare una linea ferroviaria già esistente, quella delle Nord, che da Camerlata porta al lago, e ovviamente viceversa, e che con un potenziamento delle fermate (certo, con costi milionari) e corse con orari appunto da metrò avrebbe potuto essere la soluzione a tutti i mali viabilistici della città. Mai come in questo caso vale la pena sottolineare che il treno è stato perso e, forse, mai più ripasserà. Il treno dei desideri, per tornare quasi vicino di casa Adriano.

Ed ora? Ora siamo alle prese con dati choc, come quelli che ci propina (ma ce ne eravamo anche accorti da soli) la ricerca su traffico e mobilità di Polinomia e pubblicata dalla Fondazione Cariplo. A Como un bus viaggia in media a 23 chilometri orari, un’auto a 30. E ogni giorno nell’area urbana di Como il sistema di trasporto produce qualcosa come mille tonnellate di anidride carbonica. Che respiriamo tutti noi, che qui viviamo o lavoriamo, ma respirano anche i turisti che pure, beati nella loro innocenza, arrivano pur sempre a frotte. E meno male.

C’è però qualcosa di malato, non solo nell’aria, in questa città che la natura ha baciato, ma che gli uomini (leggi amministratori) sembrano volere affossare. Si torna sempre al punto di partenza, cioè all’immobilismo, alla mancanza di strategie e di progetti, anche a quelli più fattibili. Quando si parla di “mobilità non motorizzata”, certo,è difficile trattenere un sorriso. Qui Como forse non c’entra, perchè ricette come il car o il bike sharing, il pedibus, il bus a chiamata o i taxi collettivi sono universali e snobbatissime anche in metropoli ben più caotiche della nostra.

Prendete la (bella) idea di arrivare in centro e prendersi una bicicletta a noleggio per spostarsi senza auto da un luogo all’altro (salite permettendo). A Como ci sono voluti quasi due mesi per rendere quello che sembrava l’uovo di Colombo una possibilità concreta. Finalmente, archiviate tessere e solite burocrazie fatte apposta per rendere complicate le cose semplici, da qualche giorno il servizio pare efficiente.

Resta, e qui non ci sono progetti strategici che tengano, da cambiare anche (soprattutto?) la mentalità. «Rendere più intelligente l’utilizzo del mezzo privato», come sottolinea la ricerca , può suonare quasi come una beffa quando per fare duecento metri neanche ci sfiora l’idea di camminare. O quando fuori dalle scuole centinaia di genitori chiusi nei Suv aspettano i ragazzi (liceali, mica delle elementari), e pure con i motori accesi. E poi parlano di smog.

© RIPRODUZIONE RISERVATA