Como: la politica
mosca nel bicchiere

Il centrosinistra comasco sembra una mosca imprigionata dentro un bicchiere rovesciato. Se si muove va a sbattere, ma non ha neppure ha una via d’uscita. Uno potrebbe dire: ci sarebbero le dimissioni. Sì, ma di chi? Del sindaco Lucini? E chi gliele chiede? Un altro risponderebbe: le pretende il partito. Quale partito? Lo stesso che, per iniziativa del segretario cittadino, mica il primo che passa per la strada, le voleva dell’assessore alla Cultura dopo la figuraccia della mostra e si è ritrovato in mano un due di picche? Oppure la forza politica che attraverso importanti esponenti ha gestito la pratica della vendita, anzi della svendita, di una parte della quota comunale di Acsm-Agam e ha finito per prendersi un doppio schiaffone in consiglio comunale dopo la tafazziana sortita della seconda votazione, ciliegina sulla torta? Il medesimo partito che, di fronte all’evidenza sulla piega che avrebbe preso la partita a palazzo Cernezzi una volta riapparso il consigliere di opposizione Gaddi e addio allo spariglio dei voti, non ha preso per la giacca il sindaco per imporgli di fermarsi e cercare una soluzione politica?

Per chi non l’avesse ancora capito questo partito un nome ce l’ha: si chiama Pd. E meno male, altrimenti sarebbe davvero difficile, a Como, dimostrarne l’esistenza. Il bello che avrebbe anche un sacco di voti, più del 40% nelle ultime elezioni europee e che governa la maggior parte dei comuni della provincia. Senza disturbare più di tanto i manovratori . Che però ogni tanto ne avrebbero bisogno. Quantomeno, come nel caso di Como città, quando prendono rotte sbagliate. Vedi anche alla voce paratie.

Il risultato finale è una giunta di palazzo Cernezzi allo sbando. Secondo i ben informati anche divisa tra il sindaco e alcuni assessori da una parte e i rimanenti dall’altra. E poi una maggioranza in consiglio comunale che non c’è più e neppure ci sarà da qui al voto del prossimo anno. Al problema del vuoto politico, infatti, si somma quello di rapporti personali ormai deteriorati senza rimedio. La prospettiva è una navigazione nella nebbia con la probabilità di affondare al primo ostacolo, anche casuale, oppure di perdersi nel mare aperto a bordo di una nave da cui qualcuno che spera di avere un minimo di futuro politico sta già pensando di sbarcare.

A questo si è ridotta l’amministrazione comunale comasca. E non sono i cattivi pensieri a certificarlo, bensì i fatti: il cantiere del lungolago, la fu grande e fu mostra di villa Olmo, il pasticcio Acsm-Agam, persino il punto unico di cottura dei pasti per le scuole che è finito in niente. E tutto senza che qualcuno ci metta la faccia e si assuma la responsabilità dei fallimenti. Vero che la vittoria ha mille padri e la sconfitta è orfana. Qui però, con tutte queste debacle, si potrebbe aprire un istituto di senza famiglia. E neppure esiste un partito che convinca o costringa i responsabili a dichiararsi tali. O magari li aiuti a metterci una pezza. A Roma il Pd è uno che comanda, molti che gli vanno dietro, qualcuno che rosica. A Como non è così. Nessuno dà la linea e ciascuno va per la sua strada. Molte volte senza neppure sapere quale sia. Alla fine sarebbe un problema loro e, al limite, di chi li ha votati. Ma qui ci sono di mezzo la città capoluogo e gli altri comuni su cui sventola la bandiera Pd che rischiano, e ill capoluogo lo sta già facendo, di pagare un prezzo a causa di questa non politica. Per tacere dell’autodafé di un’occasione storica che chissà quanto ricapiterà, come quella della conquista del principale municipio del territorio.

Da qui all’autunno poi, c’è anche da percorrere il cammino che culminerà nel rovente referendum sulle riforme, la scommessa di tutte le scommesse di Renzi, il leader nazionale del Pd, che vede in esse l’unico approdo alla modernità del paese. Come potrà dimostrarsi credibile il partito a livello locale? Uno prima di credergli dovrebbe quantomeno trovarlo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA