Cultura, bellezza
e il ruolo di Como

Cultura e bellezza, intesa come dono di natura, sono antagonisti nel sostenere i pregi di un luogo? Certo che no. Porre in discussione un quesito del genere mi sembra non solo una perdita di tempo ma l’allontanare quel tentativo in atto di unire le forze per meglio rinsaldare le attrattive del territorio lariano nel quadro internazionale. Quando è stata presentata la candidatura della città di Como come capitale italiana della cultura mi sono permesso di osservare che si tratta di un obiettivo difficilmente raggiungibile nella situazione attuale di scollamento di interessi e di capacità propri a quanti avrebbero tutto l’interesse ad accordarsi per ottenere un beneficio che fa gola a tutti. L’affacciarsi di questa possibile discordanza di vedute sul patrimonio di risorse che ci identifica prova che i miei dubbi avevano qualche motivazione non pretestuosa.

Il termine “cultura” si presta d’altronde a sollevare equivoci perché ha un’ampiezza ragguardevole di interpretazioni e di applicazioni. Per esempio, il considerare autonoma la bellezza delle risorse naturali di città e rive lacustri, monti e campagne, non tiene conto del fatto che le impronte lasciate dall’opera dell’uomo nei secoli ha profondamente modificato tutto l’insieme di questo ineguagliabile bacino ambientale. E’ vero, possiamo venir promossi dall’esame più severo di confronto fra siti anche più celebri, per merito comunque di architetti, paesaggisti, pittori, floricoltori, arredatori, musicisti, scultori, letterati, mecenati e via dicendo, la vasta schiera di coloro che hanno materialmente posto mano al luogo in cui sono vissuti incidendovi al punto da arricchire, addirittura di determinare la loro fisionomia e di costituire l’essenza della sua storia ormai millenaria. Difenderne origini e sviluppo da oltraggi e devastazioni degli incoscienti e degli speculatori è un dovere degli abitanti e degli estimatori; è anche un atto di profittevole gestione.

Talvolta provo un po’ di fastidio nel vedere porre in primo piano sempre, anche nel ragionare sul futuro della produzione culturale, i vantaggi economici. Un disagio che si accentua quando vengono posti a confronto gli incassi di qualche mostra, grande o piccola che sia, con quelli derivanti dall’attività delle istituzioni pubbliche preposte specificamente alla miglior conoscenza di prodotti culturali, quando è evidente che pinacoteca, biblioteca e musei od anche di organismi privati dello stesso genere svolgono quotidianamente un lavoro di carattere prettamente educativo e latamente divulgativo privo dell’amplificazione pubblicitaria di cui fruisce qualunque evento a destinazione almeno in parte commerciale. Ma è ovvio che ci si orienti a calcolare benefici economici allorché il progettare il futuro riguarda specificamente i vantaggi di un incremento del turismo: purché non ci si fermi ad una visione stereotipata dei luoghi trasformandoli in immagini da cartolina o in percorsi per visitatori distratti. Se mai potremo ambire un giorno ad avere un’investitura di eccellenza abitativa superiore all’attuale, non potremo fare a meno di far notare ancora di più le molteplici qualità identificative riservataci dai reperti di un grande passato e dagli interventi di un’arte capace anche di sottomettere la natura alle proprie abilità creative. Insomma, è sui fondamenti della cultura che poggia l’essenza stessa del “paradiso comacino”.

Spesso si afferma, piuttosto pesantemente, che anche con la cultura “si può mangiare”, non solo con l’industria o il commercio. Diciamolo meglio: con la cultura si respira. A patto di riconoscerne la presenza viva.

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