Cultura, pubblico
e privato più uniti

La proroga della passeggiata a lago offerta alla città dagli Amici di Como, che ha salvato il turismo dei reiterati effetti nefandi del cantiere-non cantiere delle paratie, rappresenta solo l’ultimo virtuoso esempio di collaborazione tra pubblico e privato nella gestione della cosa, o meglio, del bene comune.

Non si può negare alla giunta Lucini un ruolo importante e incisivo nell’impostare una politica di apertura a energie e contributi esterni all’amministrazione che, oltre ad accorciare spesso i tempi biblici della burocrazia rappresentano un balsamo benefico per i malanni della casse comunali, colpiti anche con la manovra in divenire da altri tagli di trasferimenti.

Che si sia fatta di necessità virtù, coinvolgendo il più possibile i privati con le loro risorse, le loro capacità, la loro disponibilità è vero. Ma lo è altrettanto il rilevante numero di interventi e la qualità (il monumento a Libeskind per quanto si possa discutere ne è l’esempio più eclatante) di questa politica di integrazione. Tanto per tornare al lungolago, va ricordata l’esperienza della precedente amministrazione di centrodestra con la passeggiata allestita da Zambrotta era terminata a ditate negli occhi tra il Comune e l’ex calciatore.

Anche a livello economico, e qui il Comune c’entra relativamente, il lavoro del tavolo della competitività e e i frutti di Como Next sono esempi importanti di collaborazione pubblico-privato. Solo su un fronte la scintilla non è scoccata o perlomeno non come è accaduto altrove. Nell’ambito della cultura. E i risultati si vedono. La pratica di palazzo Terragni è ancora aperta senza che si intravvedono soluzioni per il ritorno alla città dell’importante monumento. Le mostre di Villa Olmo organizzate dal Comune, al netto della qualità, denunciano una costante afasia in termini di visitatori e centralità nel dibattito culturale cittadino. La pinacoteca di palazzo Volpi e meno che sotto utilizzata.

Peggio che andare di notte sono le vicende di Parolario e Miniartextil che hanno ricevuto lo sfratto definitivo dalla loro sede naturale, almeno per i periodi tradizionali di svolgimento di queste due rassegne. Si parla di recuperare la prima, per scongiurare l’esilio cernobbiese, portandola a Villa Olmo a giugno. Ma ancora non si è trovato il bandolo.

Forse allora, per superare tutte queste difficoltà, si potrebbe tentare di applicare di più il modello pubblico-privato anche in questo ambito. L’assessore Cavadini, peraltro operatore culturale di qualità, non dovrebbe faticare a proporre soluzioni in grado di attrarre e coinvolgere le tante energie presenti in città e sul territorio nell’elaborare calendari, proporre iniziative e sfruttare le enormi potenzialità culturali della nostra realtà. Magari si potrebbe allestire una fondazione, studiare altre forme di collaborazione, allargare quelle esistenti. Numerosi studi segnalano la capacità della cultura di trasformarsi in business, diventare volano per una tipologia di turismo tra le più adatte alle caratteristiche del nostro territorio. Poi c’è l’indotto. Che rappresenta una parte, grande o piccola, del Pil che si produce nel Comasco. Avviare una riflessione, sulla scorta degli esempi in altri comparti, potrebbe anche rappresentare il metodo per risolvere i conflitti e le incomprensioni tra i vari soggetti in campo.

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