Il nanismo delle nostre
classi dirigenti

La nostra è terra di statisti. Politici di vaglia. Scienziati dell’arte del governo. Cervelloni. De Gasperi del mondo nuovo. È stato bello ascoltarli, ammirarli e rimirarli nell’ultima mirabolante campagna elettorale mentre disegnavano strategie pensose per il bene del lago, dei monti e della Brianza. E tutti lì a programmare, a progettare, ad almanaccare, a fare a gara, da sinistra a destra passando per il centro, in quanto a serietà, aderenza al mondo reale, coscienza dei vincoli di bilancio, totale assenza di banalità e demagogia. Concetti chiari. Pensieri forti. Roba di prima scelta. Eh sì, siamo proprio fortunati con i nostri neodeputati, neosenatori e neoconsiglieri regionali che l’Italia tutta ci invidia.

E la prima conferma di quanto la nazione consideri il peso specifico e il gradiente culturale del territorio e quanto da queste parti si detti l’agenda e si dia la linea al dibattito lo si è visto nelle recenti nomine degli assessori regionali. Zero a Lecco. Zero al cubo a Como. Un disastro totale. Praticamente al Pirellone hanno tirato dietro assessorati a tutti, anche al primo ubriaco che passava per la strada, fuorché a noi, con la lodevole e azzeccata eccezione di Sondrio. Sono soddisfazioni. Sono grandi risultati. Sono frutti di un lungimirante lavoro di sana e capace lobby territoriale, all’interno della quale si collabora e si fa sempre squadra, che esprime coerenza e visione e che ci ha portato - guarda un po’ - a essere presi a schiaffi per l’ennesima volta. Chi l’avrebbe mai detto?

Ora, di fronte a certe Caporetto le reazioni sono di tre tipi. La prima - spassosa - è negare l’evidenza. Ma insomma, che sarà mai, in fondo non era così centrale avere un assessore, l’importante è la condivisione, l’enucleazione, la compenetrazione e tutto sommato anche la delega alle eventuali e varie non è poi da disprezzare e pure quella al cambio delle capsule della macchinetta del caffè ha un suo valore strategico e comunque, dai, tutti insieme a lavorare in team per le magnifiche sorti e progressive di questa bella Lombardia. La seconda - patetica - è l’amarcord da pensionati davanti ai cantieri in centro. E insomma e come si fa e qui è tutto un magna magna e qui il primo che si alza comanda e ai miei tempi invece, caro lei, sì che avevamo voce in capitolo e quando c’era Plinio il giovane e quando c’era Alessandro Volta e quando c’era Carlo Codega e qua una volta era tutta campagna e via andare con la partita di bocce al circolo dove i nostri memorialisti, diciamoci la verità, sono un po’ di un’altra categoria. La terza - grottesca - è l’attacco all’informazione serva dei poteri forti, delle multinazionali e del Vaticano e bugiardi e macchina del fango e fake news e mascalzoni e cialtroni e buffoni e sappiamo chi siete e sappiamo dove abitate e sappiamo chi vi paga, ma nulla potrà fermare il popolo in marcia alla conquista del Palazzo d’Inverno, nulla bloccherà la rivoluzione italiana in atto e bla bla bla con tutto il resto del pattume, del ciarpame, dell’analfabetismo di andata e ritorno che tracima della fogna caliginosa del web e nel quale autorevolissimi parlamentari locali danno sfoggio di capacità oratorie degne di Winston Churchill dopo l’attacco a Londra.

Niente di nuovo, in verità. Perché il tempo passa, ma le manfrine sono sempre le stesse mentre l’arroganza del potere passa da una generazione a quella successiva e da uno schieramento a un altro senza cambiare di un millimetro. E di un millimetro non cambia il nanismo, esploso negli ultimi vent’anni, se vogliamo dirla tutta, di classi dirigenti mai così inadeguate - con alcune pregevoli eccezioni, naturalmente - che hanno prodotto danni collaterali e balle faraoniche che lasceremo in eredità ai nostri nipoti. Ma vogliamo parlare dello stato delle nostre infrastrutture stradali, putacaso? O dell’efficienza delle reti ferroviarie, magari? Vogliamo parlare di come le aziende, quelle sì spesso e volentieri formidabili, siano state incentivate e supportate dalla burocrazia regionale, provinciale e comunale? Vogliamo parlare del campus di Como (di quello di Lecco no, lì sono stati bravissimi)? Vogliamo parlare della pagliacciata, della burinata, dello scandalo a cielo aperto, dello scandalo internazionale delle paratie di Como, combinato disposto dell’inettitudine di Comune e Regione che ha devastato il lungolago più bello d’Italia per otto anni e c’è voluto questo giornale per far togliere steccati, ramaglie e cancellate mentre quelli dormivano sonni olimpici? Ne vogliamo parlare per davvero? E dov’erano tutti questi grandi esponenti della grande politica locale? Dov’erano tutti questi leoni da campagna elettorale mentre (quasi) nessun problema veniva risolto e (quasi) tutti i problemi venivano lasciati marcire?

Ora, con il nostro voto abbiamo mandato nei palazzi parecchi rappresentanti di ogni fazione, dalla più antica alla più nuova, e questi ci hanno riempito la testa di impegni, sacri furori e imperativi categorici. La storia recente di partiti e movimenti e il profilo culturale e professionale di molti di loro non promettono niente di buono, ma una chance va sempre concessa. Noi ci siamo segnati tutti, ma proprio tutti i loro giuramenti e vedremo presto se erano riflessioni serie o fanfaronate da talk show. L’importante è non prendere in giro gli elettori e la libera stampa. Come, ad esempio, ha fatto qualche giorno fa un oscuro parlamentare brianzolo, del quale sfugge curiosamente il nome, che, con l’arruffata sicumera del bulletto da cortile, ha associato la testata di questo giornale al concetto di notizie false. Ora, innanzitutto il termine “bufala” fa il piacere di riservarlo al bollettino del kolchoz di casa sua. In secondo luogo, si ricordi che dell’eventuale profilo diffamatorio si occuperà il nostro studio legale. E per finire, stia bene attento a quello che dice e a quello che scrive, perché qui nessuno ha l’anello al naso e nessuno prende lezioni dall’ultimo dei quaquaraquà.

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