Il paradosso del Pd
che cerca un senso

Dato che Vasco Rossi è in auge, si può proiettare sulla politica la parafrasi di una sua hit: “Vorrei trovare un senso a questo Pd, anche se questo Pd un senso non ce l’ha”. Forse è questa la mission che si è data Nicola Zingaretti quando le primarie gli hanno messo in mano le redini di un guazzabuglio più che una forza politica. Ha senso un partito che, a distanza di 12 anni dalla sua fondazione, salutata come l’evento degli eventi, l’unione di tutti i riformismi è tutt’altro che un evento, anzi sembra una grigia routine e soprattutto, non certo un’unione? Quella del presidente del Lazio perciò sembra essere una mission impossible. Il suo avvento non è servito a rianimare un brand sempre più pallido che, dopo un piccolo e illusorio segnale di vitalità alle elezioni europee e al primo turno delle amministrative ,è tornato a indossare i panni del perdente che gli elettori gli hanno cucito addosso il 4 marzo dell’anno di disgrazia, per il Nazareno, 2018.

E allora ecco che serpeggiano i dubbi e soprattutto le bisce che nel Pd sono così abbondanti che Lacoonte sarebbe stato il segretario ideale. Gliela farà Zingaretti a rimettere in dima una forza politica di cui c’è da stupirsi che goda ancora della fiducia di oltre 20% degli elettori? E chi saranno questi che, nel segreto dell’urna, continuano a barrare un simbolo così scolorito? Forse gente che per tante ragioni anche ideologiche non si ritrova nei concorrenti e allora sceglie il male minore: un reggimento di nasi turati che non vuole rifugiarsi nell’astensione perché, da brave persone più o meno di sinistra e molto forniti di cultura della democrazia, crede ancora nel valore del voto e rifiutano l’Aventino dell’astensione. Chiaro che non bastano per portare a casa la vittoria se non attraverso alleanze che magari qualcuno dentro la pancia del Nazareno vorrebbe pure sancire con i Cinque Stelle guidati dal “Che Dibba Guevara” che scalza l’ondeggiante Giggino Di Maio.

Ma può essere solo questa la missione del Pd? La riposta, chiaro, è no.

Ma allora? Eh sì, qui ci sta proprio bene il tormentone “allora il Pd?”. Qual è la linea, la strategia, l’obiettivo? Boh. E attenzione perché le ultime tornate elettorali che vedono la Lega penetrare nelle sempre più ex regioni rosse rivelano un paradosso. Quelle terre sono state così colorate perché il Pci e i suoi eredi hanno saputo perpetuare quella politica riformista che ha fatto crescere il tessuto economico e sociale. Una politica sempre osservata in maniera occhiuta dal Bottegone. Non a caso, nonostante le percentuali bulgare ottenute nelle elezioni locali, nessun emiliano o toscano o umbro si è mai seduto sulla poltrona più importante del partito con la falce e il martello. Tutti i segretari, da Gramsci a Occhetto, passando per Togliatti, Longo, Berlinguer e Natta sono nati dentro i confini del vecchio regno di Sardegna da cui partì l’Italia. Solo una coincidenza? Fatto sta che ora il partito che dovrebbe rappresentare il campionario di tutti i riformismi cede il passo proprio nei territori cresciuti e prosperati a pane e riformismo. Una riflessione forse sfuggita. Anche questo fa pensare sul senso del Pd, dove tutti si sforzano a lanciare idilliaci segnali unitari salvo poi non riuscire a trattenere quelle voglie addirittura di scissione che spuntano sui volti di alcuni leader. Urgono un chiarimento (l’ennesimo), una linea, un leader carismatico e riconosciuto al di là della ritualità delle primarie. Perché non si può pretendere che questo governo che già sembra avere il respiro corto a fare il suo dovere, si metta pure a supplire l’opposizione, È successo e accade ancora con i risultati sono quelli che si vedono. Insomma, il Pd ne venga a una, una volta per tutte. A costo di imboccare strade strette in salita, faticose e dolorose, da vesciche ai piedi. Anche al punto di dividersi, forse, di rimettere in discussione il senso del partito stesso, di scegliere di marciare divisi per colpire uniti e magari riuscire a far rientrare i tanti voti tuttora in libera uscita e con poca voglia di irregimentarsi ancora in una caserma dove la guerriglia interna prevale sulla lotta contro il nemico. Ricordate i tempi in cui, c’era di mezzo addirittura Cossiga, si dibatteva sul centrosinistra con o senza il “trattino”. Ecco magari ripensarci. Per cercare un senso, magari non proprio al Pd, ma a una certa politica.

@angelini_f

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