Il sindaco LandriConte
e Como città delle donne

Una delle vignette più corrosive lo ritrae mentre dice a Macron: “Ce l’avete con me perché sono donna” con Di Maio dall’altra parte del teleschermo che commenta “Accidenti, ho sbagliato foglietto: gli ho dato quello della Raggi”. Il povero professore Antonio Conte, di professione presidente del Consiglio per conto terzi non riesce proprio a scrollarsi di dosso l’immagine del Rockfeller (inteso come corvo nei varietà degli anni ’80) ventriloquio di pensieri e decisioni dei dioscuri di governo e di lotta Di Maio e Salvini.

Un problema che non sembra appartenere al sindaco di Como. Mario Landriscina, che senza, almeno all’ascolto, stidor di tappi di champagne, ha spento la sua prima candelina alla guida di palazzo Cernezzi. Del resto, festeggiamenti e fuochi d’artificio non fanno parte del carattere del personaggio. Anzi. Lui le bollicine, in senso amministrativo, sembra preferire lasciarle ad altri. O meglio ad altre.

E allora l’idea che il professor Conte Giuseppe possa avere avuto un precursore a Como finisce per farsi strada. Chiaro le condizioni dei due, come le maggioranze sono diverse. Se il premier guida una irrituale coalizione gialloverde con due “primi uomini”, il primo cittadino in riva al lago si appoggia a quello che si chiama “centrodestra tradizionale”. E a primeggiare sono le donne.

La prima fase dell’amministrazione è stata dominata dall’attivismo, mediatico e non, di Alessandra Locatelli a cui si può imputare di tutto ma non la passione per quello che fa e per la sua Lega. Si è poi capito perché la vicesindaco ci tenesse a fare la Salvini de noantri. Come il suo leader e totem politico, infatti, era in campagna elettorale permanente, dalle amministrative lariane 2017 alle politiche nazionali di quest’anno dove è riuscita a farsi candidare ed eleggere con un posto blindato. Adesso sembra essersi un cicinino placata dopo le intemerate contro panchine rei di accogliere terga e membra di immigrati e l’installazione di reticolati all’autosilo di Val Mulini estemporaneo tetto di immigrati estranei al centro di via Regina.

La scena ora è occupata per lo più dall’assessore Elena Negretti. Al di là degli inediti licenziamenti di personale comunale, qualcuno dice che in Comune non si muova foglia che lei non voglia. E a proposito di foglie, di erbe aromatiche, se il prezzemolo creasse una foresta potrebbe rappresentare al meglio Simona Rossotti, assessore al turismo e non solo e turista non per caso di millanta eventi. A completare il cernezzico gineceo potrebbe anche starci Patrizia Maesani, brillante capogruppo di FdI, spesso costretta a richiamare gli alleati a cimentarsi nell’esercizio della testa a partito, a costo di sentirsi gridare “non fate fronda”.

Palazzo Cernezzi e Como, felliniane “Città delle donne”? Nulla di male ci mancherebbe. Anche se qualcosa sembra muoversi nel sommerso politico maschile. Ma così il rischio di veder prendere forma questa figura mitologica del LandriConte è tutt’altro che peregrino. Chissà se anche i comaschi hanno questo percezione, di ritrovarsi con un sindaco che, al contrario del presidente del Consiglio è stato scelto a colpi di matita copiativa, ma appare un po’ troppo assente e sulle sue, così da creare uno dei quei vuoti che, ed è anche questo il caso, in politica si riempiono sempre. Perché, appunto, l’inquilino di palazzo Chigi, specie se non legittimato dal consenso popolare è una cosa, quello di via Vittorio Emanuele, che senza l’apporto dei cittadini mai potrebbe sedersi sulla poltrona, è un’altra. La città ha bisogno di bravi e appassionati assessori. Ma la Giunta è un’orchestra che deve funzionare con il suo direttore ben in vista sul podio che agita la bacchetta.

@angelini_f

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