Il turismo funziona
ma serve una cultura

Il turismo corre, il turismo va spinto. Sembra un paradosso, ma è una regola economica e sociale. Mentre gli investimenti dei privati e i dati dei visitatori sul lago accelerano, c’è qualcosa che procede ancora troppo a rilento. Qualcosa di più profondo: si chiama cultura, una visione che può svelare se a questo settore strategico e dall’indotto praticamente incalcolabile si crede davvero.

Partiamo dalle cifre travolgenti di questi giorni, tanto che si è parlato di febbre del turismo, una febbre buona non da curare bensì da alimentare. Una su tutte: due milioni, tante le persone che hanno visitato la “Città dei Balocchi” durante il periodo natalizio. Come riempire San Siro per 25 giorni di fila, hanno commentato gli organizzatori con un’immagine suggestiva che imprime ulteriore forza al dato. In quei giorni, insomma, una marea di persone e di famiglie ha voluto gioiosamente invadere Como, partecipare agli eventi, ammirarne la bellezza, il gioco di luci, un’atmosfera che valorizzava il lago in un periodo in cui non è certo meno bello, ma le presenze per forza di cose si riducono.

E qui bisogna subito fermarsi e riflettere sulle proprie parole. Per forza di cose? Sarà proprio così? Sulla destagionalizzazione il dibattito ha vissuto un’accelerazione, prendendo spunto da un dato di fatto: l’arrivo di turisti da luoghi sempre più lontani, con diversi periodi di vacanza e condizioni climatiche. Fece scuola durante Expo la delegazione dell’Oman al Grumello, che si stupì del rammarico dei padroni di casa di fronte al lago in tempesta: mai visto niente di più meraviglioso, assicurarono.

Secondo aspetto, gli investimenti. Intanto, l’apertura del nuovo Hilton, ma altri segnali stanno arrivando, future inaugurazioni, progetti che affiorano. Con un punto di riferimento che si collega al ragionamento precedente: apertura per l’intero anno.

Si può, anche con un calendario di eventi che si arricchisce, soprattutto che definisce in maniera incisiva un periodo, magari prima tendenzialmente più spoglio. Uniti nel far sì che il lago di Como sia il luogo dove la magia si sprigiona, in ogni giorno e ogni stagione.

Un rischio, però, c’è. Innanzitutto quello di rallegrarsi e dire: fantastico, il turismo ha ottimi risultati, quindi stiamo tranquilli e badiamo ad altro. La regola di un imprenditore illuminato è quella di reinventarsi e innovare non solo quando non ottiene ciò che sperava; al contrario, ancora di più quando le cose vanno bene.

Non esistono automatismi e se qualcuno se lo fosse dimenticato, la crisi economica ha dato uno spiacevole contributo a rinfrescare la memoria in questi anni.

Il turismo va alimentato. E oltre agli investimenti coraggiosi dei privati, agli operatori che non si fermano mai, a chi si industria per far trovare una manifestazione capace di parlare a tutto il mondo, occorre compiere un altro, strategico passo.

La tassa di soggiorno può essere una leva per mantenere in moto il processo e anche per fargli aumentare la velocità e la qualità se possibile. Bisogna investire, e bene. Non è solo – pur importante – questione di avere buoni uffici dove dare informazioni, guide e cartelli anche in inglese: tutti elementi che dovrebbero essere prerequisiti.

Ci vuole altro ancora. Significa investire in un territorio più accogliente. Che sia tenuto pulito e in ordine, abbellendolo anche con quei fiori che dovrebbero essere un must in una delle patrie del florovivaismo. Che abbia illuminazione in grazia di Dio, nella città di Alessandro Volta. Oppure orologi a posto, non che sembrano sintonizzati a caso sui vari fusi del mondo.

Una cultura turistica è una località dove ci si sente accolti anche guardandosi in giro e dove si vuole tornare. E dove è persino bello vivere. Già, perché una città con cultura turistica non toglie niente: casomai fa bene anche ai comaschi.

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