Irpef più cara,
E pagano i soliti

Per la seconda volta in due anni il Comune di Como si appresta a ritoccare (all insù, ovviamente) le aliquote Irpef alla voce addizionale comunale. Ci sono ragioni oggettive per cui un Comune di questi tempi si trova costretto a fare cassa: il rispetto del famigerato patto di stabilità e il ritocco (all’ingiù, ovviamente) dei trasferimenti statali sono un dramma per i ragionieri e gli assessori al bilancio di tutta Italia.

Del resto, il sindaco Mario Lucini era stato chiarissimo qualche settimana fa. Nel commentare le misure economiche del governo Renzi aveva definito inevitabile un inasprimento della pressione fiscale comunale.

È il secondo in due anni. Il primo, all’indomani dell’insediamento della nuova giunta, aveva l’alibi della passata amministrazione,che alla vigilia delle elezioni si era guardata bene dal mettere le mani nelle tasche degli elettori. Questo aumento avrà anche una giustificazione “nazionale”, ma vallo a spiegare ai titolari di redditi Irpef, principalmente lavoratori dipendenti e pensionati.

Al momento non si può ancora ragionare su dati precisi, soprattutto a livello di fabbisogno: non si sa infatti quanto il Comune debba recuperare esattamente con questa stangata. Ma dal momento che l'aliquota massima è dell’0,8 per mille, è quantomeno probabile che venga ritoccata verso l’alto, magari proprio al massimo, quella oggi allo 0,6 per mille. E se non dovesse bastare, si dovrà per forza ritoccare anche quella dello 0,3, che colpisce redditi tra i 28 e i 55 mila euro annui. E potrebbe rischiare addirittura quella più bassa, lo 0,2 per mille per i redditi fino a 28 mila euro. D’accordo che non si parla di importi pesantissimi ma tanto basterebbe se non ad annullare, quantomeno a intaccare sensibilmente i benefici dei famosi 80 euro in busta paga.

Va poi ricordato che il rincaro ricadrebbe esclusivamente sull’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, quella che tutti dovrebbero pagare in maniera proporzionale rispetto alla capacità contributiva, ma che in Italia è pagata secundum legem dai titolari di reddito di lavoro dipendente e di pensione, oltre che dai contribuenti onesti. A parte il fatto che il livellamento delle aliquote, con l’accorpamento degli scaglioni di reddito, va contro il principio costituzionale della progressività di imposta (anche se il calcolo dell’imposta resta progressivo) , è chiaro che questo tipo di manovra fiscale risparmia gli evasori, quella fascia di liberi professionisti che - lo dicono le statistiche del Fisco - risultano guadagnare meno dei loro stessi dipendenti, nascondono il nascondibile, sono spesso a Lugano non in gita di piacere e sono magari i primi a sbraitare, anche in piazza.

Ovviamente questo il sindaco di Como nonché assessore al bilancio lo sa perfettamente, e se ha scelto questa via significa che di alternative ce n’erano poche. Una la sta anche perseguendo, la vendita del patrimonio pubblico. Un’ottima idea, la dismissione di beni municipali inutili e costosi, anche se l’andamento del mercato immobiliare non induce all’ottimismo circa il buon fine dell’operazione, specie a prezzi congrui per il Comune. Il rischio, insomma, potrebbe essere quello di svendere il patrimonio mentre allo stesso tempo si tassano di più i cittadini. Resta l’alternativa dei tagli alla spesa, ma anche in questo campo non c’è molto da sfogliare verze.

Il problema non è solo di Como, sia chiaro. L’ignavia dello Stato negli ultimi decenni ha presentato il conto e ora sta raschiando il raschiabile. Purtroppo a pagare sono sempre gli stessi.

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