La crisi riporta
valore alla laurea

i sogni son desideri, cantava Cenerentola che sognava di dare un calcio nel sedere alle sorellastre e poter finalmente vivere una vita da principessa. I sogni son desideri e i desideri sono un diritto, che però va conquistato.

Il sogno di una laurea è un desiderio, ma un desiderio che, diritto in quanto legittima aspirazione, mai come oggi è da conquistare. La diminuzione di soldi sul conto in banca delle famiglie ha fatto precipitare il numero degli iscritti alle facoltà, anche a quelle che, per tradizione, garantivano un lavoro poco dopo la discussione della tesi. A Como gli iscritti lariani nelle università

lombarde e comasche sono tanti quanti erano nel 2004, quando la crisi ancora non aveva fatto paura e affossato il lavoro. Erano 3426 nel 2004 gli iscritti comaschi in Lombardia, sono cresciuti a 3837 nel 2009 e scesi a 3429 nel 2012. Le matricole iscritte a Como erano 771 nel 2004, 985 nel 2009 e 608 nel 2012.

Colpiscono le montagne russe dell’andamento di questi dati e lo fanno essenzialmente perché ci si era tutti abituati al fatto che i ragazzi, dopo le superiori si iscrivessero all’università. Raro che qualcuno decidesse di andare a lavorare, l’immatricolazione alle facoltà da un decennio o poco meno era atto dovuto, un po’ come lo fu l’iscrizione alle superiori di chi oggi ha superato i 60.

Pareva logico che ci si laureasse, o almeno ci si provasse o si fingesse di farlo.

La scelta opposta veniva guardata con sospetto, valutata più come una non voglia di studiare che una responsabile valutazione delle proprie aspirazioni e capacità. I genitori si gongolavano all’idea di poter avere un figlio laureato, che magari traducesse in realtà ciò che essi (spesso per lo stesso motivo di oggi, i soldi) avevano potuto solo sognare. E forse anche per questo, la crisi che è arrivata è stata come uno spillone spinto contro un palloncino gonfio: ha fatto bang! La crisi ha fatto capire che, visto che non è più tempo di sprechi, l’università è una cosa molto seria: ci si iscrive solo se si è davvero convinti di specializzarsi, altrimenti si cerca - a trovarlo - un lavoro.

Molti ragazzi negli ultimi anni - assolutamente non tutti visto che di esempi di eccellenze è piena la provincia e l’Italia - hanno creduto, e in molti casi glielo si è fatto credere, di avere lo stesso diritto accampato dalle sorellastre di Cenerentola; le due pensavano di avere diritto ad andare al ballo e soprattutto ad essere corteggiate dal principe solo perché appartenenti alla buona società.

La favola dei fratelli Grimm ha dimostrato alle bisbetiche il contrario, il principe sceglie chi ha sostanza (per onestà, nel caso di Cenerentola anche bellezza, proposta però come una virtù).

Vale lo stesso per le matricole. Laurearsi è un diritto, ma che si conquista con la fatica.

Non è più tempo di andare in facoltà per passare il tempo. La laurea torna ad essere un traguardo speciale. Non è un male dunque, a parte che per i bilanci degli atenei, che ci sia qualche matricola in meno. Certo, è altrettanto vero che qualcuno rinuncia all’università anche se ne avrebbe tutti i titoli e la volontà. E non vale tanto il «perché studi ancora, tanto il lavoro non lo trovi».

Chi ha l’occhio lungo e la grinta per arrivare al “dott” sa che una laurea è sempre un valore aggiunto. Chi vorrà davvero il dott tornerà, c’è anche chi non ha mai smesso, ai lavoretti per pagarsi gli studi. Tanti comaschi ci raccontano più volte di impegnarsi per pagare le rette. Anche questa è didattica e formazione e aggiunge crediti a qualsiasi laureato.

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