La difesa risparmi
su sprechi e privilegi

La stampa italiana ha celebrato la visita di Barack Obama dando, opportunamente, ampio risalto all’incontro con Matteo Renzi. Il Presidente Usa ha dispensato grandi elogi al nostro premier di cui ne ha magnificato il piglio e l’entusiasmo. A Renzi non sarà certamente sfuggito che, negli elogi sperticati del presidente americano, c’era anche una buona dose di piaggeria. Stavolta, però, non si tratta di lusinghe imposte dal protocollo. C’è dell’altro: vale a dire, la scottante questione degli “Joint Strike Fighter”, i famigerati cacciabombardieri F-35, su cui l’opinione pubblica europea continua a dividersi. Sull’acquisto di questo micidiale strumento di guerra sarebbe utile qualche riflessione tenuto conto che fu il ministro Andreatta a stipulare l’accordo con gli Usa, poi confermato da tutti gli altri governi. Sarebbe opportuno partire da alcuni dati significativi per inquadrare un argomento su cui è auspicabile che il nuovo governo assuma una posizione più chiara rispetto ai governi precedenti. Dunque, la spesa militare del nostro paese ammonta a circa 26,46 miliardi di euro, pari all’1,7% del Pil.

Secondo il centro studi più accreditato in materia di difesa, il Sipri (Stockholm International peace reaserch institute), l’Italia è al decimo posto nella graduatoria mondiale delle spese militari. Gli Usa rappresentano il paese che vanta la spesa militare più alta al mondo (4%) e da soli rappresentano quasi il 40% della spesa militare mondiale. I costi della politica imperiale americana sono, pertanto, esorbitanti ed è per questo che, per assicurare la pace, Obama non intende consentire agli alleati di recedere dagli obblighi assunti.

La “partita” di aerei F-35 che l’Italia si sarebbe obbligata ad acquistare ammonta a 90 unità il cui costo complessivo sarebbe di 14,5 miliardi. Le polemiche di questi giorni potrebbero costituire l’occasione per discutere, una buona volta, della composizione della spesa militare del nostro paese il cui 70%, va rammentato, è destinato a coprire le spese per il personale (in Italia ci sono 463 Generali, pari alla metà di quelli americani che, però, guidano un apparato militare sette volte superiore a quello italiano). Pertanto, la nostra spesa militare, che risulta pari a quella per le politiche del lavoro e delle politiche sociali, meriterebbe un approfondimento. Senza giungere a favoleggiare di disarmo unilaterale (taluni sognano che l’Italia faccia come il Costarica che ha azzerato le spese militari), risulta indifferibile una seria revisione della spesa al fine di eliminare quell’immane coacervo di sprechi e privilegi che hanno sempre mortificato la professionalità di chi opera con merito per la sicurezza del Paese.

La discussione sugli F-35 rischia di ridare fiato al velleitarismo pacifista di chi, stolidamente, vorrebbe punire le aquile togliendo le unghie ai canarini. Tuttavia, a parte queste forme di ingenuo “irenismo”, mai sopite nel paese, risulta innegabile l’urgenza di varare un sistema di sicurezza più efficiente di quello attuale che, integrato nel sistema di difesa americano, ponga fine ai vecchi pregiudizi stranieri il più celebre dei quali resta quello di Churchill secondo cui “gli italiani giocano al calcio come se andassero in guerra e vanno in guerra come se giocassero al calcio”.

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