La fabbrica di Como
che spegne le speranze

e le speranze

Paratie e Ticosa, Ticosa e paratie. Erano i due problemi messi in cima alla lista delle priorità da tutti gli intervistati, negli anni scorsi. La situazione non è cambiata. Poi sono stati i due argomenti al centro dell’ultima campagna elettorale per le comunali. E restano ancora in primo piano.

Oggi raccontiamo una novità - non positiva, tanto per cambiare - sull’area dell’ex stamperia, mentre da settimane siamo tornati a seguire da vicino lo scandalo del lungolago. Tra le due questioni ci sono diverse analogie. Sono storie italiane, nell’accezione peggiore del termine. Storie che partono con un progetto fatto male, o quantomeno lacunoso. Da questo peccato originale, poi, discendono una serie infinita di problemi, lungaggini, inchieste, esplosioni di costi, polemiche. Messo in discussione e poi modificato il piano iniziale per le paratie, stessa cosa è accaduta in Ticosa sia per la bonifica che per il volto del nuovo quartiere. Il sindaco Mario Lucini ha ereditato una situazione difficile, forse anche più grave di quanto si aspettasse, ma a due anni dall’inizio del mandato non può più guardarsi indietro e accusare chi c’era prima. Le premesse ormai sono chiare a tutti, in città; anche agli osservatori più distratti. E i comaschi chiedono una soluzione, non recriminazioni. Lucini, al netto di qualche spigolatura caratteriale e alcuni dolorosi errori sul piano della comunicazione, l’ha compreso e sta lavorando sodo. Sulla questione paratie anche in prima persona (ha la delega alle Grandi opere), sulla Ticosa affiancando Bruno Magatti e gli uffici. Il bilancio, però, al momento non è positivo. Cantiere sul lungolago ancora fermo, senza certezze sui tempi per la ripartenza. Al palo la bonifica della spianata tra la tangenziale e via Regina.

E proprio sulla Ticosa vogliamo soffermarci di più, questa volta. Per anni si è detto e sostenuto, a palazzo, che l’amianto non c’era. Invece c’era eccome. Il piano iniziale per la pulizia dei terreni intrisi di inquinanti si è rivelato insufficiente. Sui tempi, il programma strombazzato ai quattro venti è rimasto sulla carta e rileggerlo oggi fa piangere più che ridere. Con la nuova amministrazione la svolta non si è concretizzata; l’assessore Magatti ha studiato a fondo la questione e ha riattivato la pratica. Ma non sarebbe corretto dimenticare il pasticcio dell’anno scorso, quando il Comune fu costretto a dissanguarsi per pagare in fretta e furia l’azienda e convincerla a lavorare ancora. Ora il guaio si sta presentando di nuovo. Sarebbe stato opportuno pensarci prima, visto che il problema dei pagamenti alle imprese non è una novità - accade in tutti i settori dei lavori pubblici, dagli asfalti alle opere edili - né si può puntare il dito contro i privati (se non incassano non possono pagare i fornitori e in qualche caso rischiano addirittura il fallimento). Sappiamo che è facile dirlo e difficile farlo, ma è il momento di accelerare per chiudere in modo dignitoso questa pagina orribile della storia cittadina. I comaschi giudicheranno Lucini e la sua giunta per i risultati che otterranno sulla vicenda lungolago, certo, ma non scorderanno la Ticosa, un’altra ferita aperta e sanguinante.

Stare dalla parte di Como non vuol dire chiudere gli occhi di fronte a quello che non va. Evidenziare i problemi non significa remare contro. Criticare gli amministratori che sbagliano è un modo per pungolarli. Non dimentichino nemmeno per un secondo che gestiscono un bene di tutti, un bene prezioso. E nonostante le leggi, i tagli, il patto di stabilità e mille altri ostacoli, avranno tutta la responsabilità di un eventuale fallimento. Vale per l’allenatore della Nazionale, vale a maggior ragione per chi ha ricevuto da migliaia di cittadini l’onore e l’onere di occuparsi della città.

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