La paura dei furti
E il sistema che non va

Qui una volta era tutta campagna. Non c’è più la mezza stagione. Bei tempi quelli in cui si stava in casa con la porta aperta».

Sono tre banali esempi di luogo comune, dove per luogo comune si intende una frase tanto ripetitiva da diventare ovvia. O anche una sottile presa in giro di quei vecchi brontoloni per i quali il passato era sempre meglio del presente.

Sarà che il trascorrere degli anni ci fa diventare brontoloni, ma se l’ultima delle tre affermazioni - la porta di casa una volta sempre aperta - è ormai diventata luogo comune, significa che il concetto di sicurezza è radicalmente
cambiato. E che la porta non solo non resta più aperta, ma è blindata, con telecamera e inferriata

Sono sempre meno le persone che possono vantare il privilegio di non essere state visitate dai ladri. Ben più coloro che sanno cosa si prova quando un estraneo irrompe tra le cose più intime e più care,quella sensazione di paura e insicurezza che non dura un giorno o una settimana,ma che ci si può portare dietro per anni. La cronaca quotidiana si sforza di raccontare in maniera diversa centinaia di storie che si assomigliano tutte, che nascondono ognuna una paura diversa, che diffondono una sensazione di impotenza e rassegnazione. E tanto cresce il senso di impotenza, tanto aumenta la sfrontatezza e la violenza di chi i furti li fa.

Abbiamo raccontato di muri sfondati a mazzate per rubare poche centinaia di euro, di automobili lanciate contro le vetrine di bar o negozi per qualche decina di stecca di sigarette, di derubati presi a botte, narcotizzati, di anziani che si sono trovati in casa ladri talmente spavaldi che sfidano la vittima a chiamare la polizia. Tanto...

Il terreno è fertilissimo per chi semina zizzania razzista, per chi invoca i lavori forzati, la legge del taglione, la pena di morte. Posizioni che non si possono giustificare ma si possono comprendere. «Non li prendono mai, e quando li prendono sono subito fuori». Sarà anche una generalizzazione grossolana, ma non è lontana dalla realtà. Il passo successivo è quello delle ronde, della giustizia fai da te, del caos.

A fronte di questa situazione la risposta di chi deve garantire la sicurezza dei cittadini è insufficiente. Non è questione di volontà. Anzi. L’impegno c’è e i risultati si vedono, ma per un furto che viene scoperto, altri dieci rimangono impuniti. Il segno dell’impegno è quello del prefetto di Como, che ieri nessuno ha obbligatoad andare a Olgiate, a mettere la faccia di fronte ai sindaci, arrabbiati e loro stessi bersaglio di un sempre più diffuso malcontento al quale carabinieri, polizia, guardia di finanza, polizie locali faticano a dare risposte.

Il prefetto ha detto che da qualche settimana nel Comasco vengono organizzati controlli mirati, di notte, che passano al setaccio intere aree. Arrivano forze da Milano, proprio per questo. Va bene, benissimo,è certamente utile, ma è chiaro che non basta. E la colpa, sia chiaro, non è della polizia di Vattelapesca o dei carabinieri di Borgosatollo. È di un sistema intero che non ha soldi per pagare la benzina alle pattuglie e disperde forze nei corridoi, negli uffici, tra scartoffie e notifiche. Oppurenegli stadi, nella protezione di personaggi ex di primo piano o in servizi d’ordine inutili ma molto televisivi o, diciamolo, in quegli spiegamenti ai valichi di frontiera che sembrano esagerati a noi ingenui transitanti. Un sistema che evita come la peste il coordinamento, concetto ispirato al buonsenso che però fraziona poteri e influenze e, quindi, diventa scomodissimo. Con l’aggravante che una volta si poteva almeno dire «Chiamiamo l’esercito». Ora nemmeno più quello.

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