La tenebra dell’uomo
ai tempi del circo

Che tempi, signora mia. Appena accade una tragedia, il club degli intelligenti innesta il turbo al trombone. Ultimo esempio, il pestaggio di Colleferro, che è costato la vita a un ragazzino innocente, altruista e indifeso e che ha dato il via all’ennesimo festival del retroscenismo pseudosociologico nel quale il circo mediatico della repubblica delle banane non prende lezioni da nessuno.

E quindi che tempi, caro lei, che mondo governato dalla violenza, che società priva di valori, che famiglie che non educano più i loro figli, che scuole ormai meri diplomifici e non più maestre di vita, etica e morale, che periferie degradate dove non regnano più gentilezza, solidarietà e condivisione, che brutta politica che aizza gli istinti peggiori e la violenza diffusa, insomma, che grande caos sotto il cielo, non come ai tempi belli che più non tornano mentre qui non si sa dove andremo a finire. E tutta questa dossologia, tutto questo catechizzare le umane genti è arrivato a toccare vette di ridicolo assoluto con la richiesta accorata e indignata di vietare per decreto ogni tipo di arte marziale e chiudere le palestre dove si praticano questi sport estremi che, per loro natura, non possono che formare soggetti violenti, prevaricatori e sanguinari. Tutto vero.

Il comitato etico dei benpensanti, dei farisei e dei soloni del pensiero unico conformista ha già decretato quali sono i luoghi dove sgorga l’istinto omicida e quali quelli dove invece si forgia il pensiero consono e il gusto per le belle lettere. Ha già decretato che uno, solo per essere infarcito di tatuaggi, orecchini e pettorali abnormi, sia di per sé, a prescindere, un killer seriale, uno stupratore, un razzista, un fascista. Ha già decretato che solo per aver postato delle foto con i pugni sguainati e le pose da bullo sia da schiaffare in gattabuia buttando via le chiavi. Il trionfo di Lombroso, con tanti saluti alla cultura liberale, alle garanzie dovute anche ad Hitler e alla centralità dell’onere della prova. Ora, il processo per l’omicidio di Willy farà emergere responsabilità e correità, il quadro sembra piuttosto chiaro, ma in questo momento - in questo momento! - non c’è nulla di provato, oltre alla morte per percosse del ragazzo. Il resto è tutto da vagliare e sarebbe buona norma attendere che ogni aspetto sia chiarito, mentre qui invece abbiamo già attaccato tutti su per i piedi a piazzale Loreto. Tanto il processo si può anche evitare di celebrarlo: quei brutti ceffi sono comunque colpevoli, non è così?

Ma il tema vero non è neppure questo, il tema davvero devastante è che a questo atto di violenza si sia subito appiccicata, come aggravante specifica, una natura sociologica che la qualifica in modo definitivo. E sul quale il peggio giornalismo nostrano sta esibendo il peggio di sé, cercando di sostenere la tesi insostenibile che la violenza sia un prodotto dell’ambiente nel quale si vive. E che mai - mai e poi mai - si era visto un degrado culturale, etico e morale come quello prodotto da questa Europa e da questa Italia velenosa di inizio millennio. Pensa un po’ che cervelloni. E infatti beati quelli vissuti nella Polonia degli anni Quaranta: lì non c’erano cultori delle arti marziali a rovinare la quiete di quelle lande ridenti. Ma beati pure quelli vissuti nella Germania degli anni Trenta, dove non esistevano ragazzotti tatuati e con i piercing al naso. E beati gli abitanti della ex Jugoslavia degli anni Novanta: non c’era ancora Facebook e quindi nessun post violento ha incrinato l’amicizia secolare che lega serbi, bosniaci e croati. E pensate che fortuna i bambini della Londra di Dickens o i minatori della Sicilia di Verga o gli ospiti dei campi di rieducazione cinesi o sovietici o gli oppositori del ricco e colto Pol Pot: non esistendo la movida, erano impossibili le istigazioni al sopruso, all’ingiustizia e alla violenza. E poi, scusate, risulta che gli omicidi e i parricidi di Dostoevskij o di Truman Capote fossero campioni di boxe thailandese?

L’aspetto insopportabile del sociologismo un tanto al chilo che piace tanto ai media è quello di confinare la violenza all’ambiente degradato, perché a detta dei tromboni di cui sopra ove esista nucleo familiare stabile, buona cultura ed eccellenti condizioni economiche è impossibile che accada quello che è accaduto a Colleferro, come d’altra parte il massacro del Circeo, quello di Pietro Maso e quello di Novi Ligure (tutti scaturiti in ambito alto borghese), solo per citarne tre tra mille, dimostrano ampiamente, vero? E questo assunto fuorviante e pericolosissimo si basa sul tanto celebre quanto nefasto principio rousseauiano dell’uomo che nasce buono e che viene corrotto dalla civiltà: se quindi si modellasse una “società ideale” - brividi… - che rispetti a pieno i diritti naturali dell’uomo allora questo sarebbe candido, felice e perfetto per sempre.

E invece non è così. Non è affatto così. Non è mai stato né sarà mai così. E chi lo sostiene non ha capito nulla della natura profonda, imperscrutabile, insondabile, dell’essere umano, che sulla violenza e la sopraffazione - sia nelle pagine bibliche sia nella memorabile scena iniziale di “2001: odissea nello spazio” - basa la genesi della civiltà. C’è un lato oscuro della luna, un cuore di tenebra che incombe, un demone nascosto che cova e freme e graffia nei reconditi più impenetrabili degli uomini, che è impossibile sopprimere e che l’eduzione e la cultura possono solo tentare eroicamente di tenere a freno. C’è chi ci riesce anche nascendo nei posti più degradati e chi se ne fa travolgere anche vivendo nel palazzo del re. È il mistero dell’uomo. La sua natura. Il suo destino.

E quindi, quando accade una tragedia intollerabile come quella di Willy, l’unica cosa da fare è attenersi all’episodio singolo e circostanziato, raccontarlo laicamente, verificare i fatti, far emergere le prove e arrivare, se si può, a un giudizio equilibrato che si basi solo e soltanto sui fatti. Le riflessioni su come va il mondo lasciamole a persone più competenti, per cortesia.

Twitter: @DiegoMinonzio

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