La Ticosa non sia più
un simbolo di Como

La fama per cui l’ex area Ticosa non porta bene a chi tenta di metterci mano è confermata dall’immagine scattata 10 anni fa, il giorno della demolizione del corpo a C. Dei personaggi politici raffigurati uno purtroppo non è più tra noi: l’ex assessore Giuseppe Santangelo. Altri due hanno pesanti problemi giudiziari: l’ex presidente della Regione Lombardia e attuale senatore, Roberto Formigoni e l’ex sindaco di Como, Stefano Bruni. Il quarto l’ex consigliere comunale “prezzemolino” Pasquale Buono, del tutto scomparso dalle scene.

I fuochi d’artificio e il tritolo che scandivano l’abbattimento dei capannoni in cui aveva vissuto una delle principali aziende comasche, sembravano davvero l’annuncio di una svolta attesa da 25 anni. Correva infatti il 1982, l’anno della vittoria dei mondiali di Spagna da parte degli azzurri di Enzo Bearzot, quando il Comune di Como faceva una scelta destinata a segnare, in negativo, la storia della città. L’ex Ticosa diventava pubblica. Il primo obiettivo era quello di tentare di recuperare la produttività perduta con la chiusura della grande fabbrica. In seguito si proverà, invano, a individuare nelle funzioni in prevalenza pubbliche da collocare negli oltre 41mila metri abbandonati a se stessi e diventati rifugio di tanti disperati.

Con l’amministrazione di centrodestra guidata da Stefano Bruni arrivava la decisione di cedere l’area a privati per realizzare un nuovo quartiere sulla scia di quanto avvenuto a Milano sui terreni dell’ex Fiera Campionaria. Fu la multinazionale olandese Multi ad acquisire gli spazi e avviare la procedura per l’abbattimento degli stabili. Forse si pensava che la maledizione della Ticosa, che aveva sempre affondato qualunque ipotesi di recupero dell’area, risiedesse nei muri. Erano stati addirittura approntati e affissi dei temerari manifesti che davano per fatto ciò che la città attendeva da cinque lustri.

Si sa com’è andata. Dieci anni dopo, o trentacinque se preferite, siamo ancora lì. Perché al fallimento del centrodestra si è aggiunto quello dell’attuale giunta di centrosinistra (la Ticosa applica in maniera rigorosa, la par condicio), che aveva tentato, in qualche modo di adeguare il progetto alla mutata realtà del mercato immobiliare.

Ancora una volta, come nel Monopoli, l’ex tintostamperia ha fatto uscire, dal suo corposo mazzo degli “imprevisti”, la carta “ricomincia dal via”. E vai con un’altra proposta, con i rendering, con le dichiarazioni perentoria. Si tratta solo di aspettare qualche mese: la “stecca” della Ticosa, sempre più rovente, passerà nelle mani del nono sindaco a cui toccherà ingegnarsi per tirar fuori dal cilindro un coniglio destinato probabilmente a finire arrostito come i suoi numerosi predecessori.

Forse un modo ci sarebbe per evitare che la Ticosa, dopo il termine dell’infinita bonifica (perché il sottosuolo è una compilation di veleni) si riduca a essere solo un mero parcheggio, l’unica funzione che in qualche modo è stato possibile collocare finora. Smettiamo di dare a questa vasta porzione di territorio cittadino tutta l’importanza di cui è stata oggetto negli ultimi 35 anni.

L’abbiamo chiamata area strategica, fondamentale per lo sviluppo cittadino, biglietto da visita di Como, priorità delle priorità (almeno finché non è apparso sulla scena il cantiere delle paratie), simbolo di un sacco di cose comasche, ecc…

Forse sono state tutte queste lusinghe ad indurla ad attivare la maledizione che finora ha vinto su tutto e su tutti. In fondo, una volta risolto il problema, nessuno avrebbe degnato l’area di tutte queste attenzioni.

Allora definiamola area dismessa qualsiasi, come tante altre sue sorelle che sono state riconvertite senza tante storie ed altre moine e ora si godono una dignitosa “second life”.

Magari in questo modo la smetterà di darsi tante arie e abbasserà le difese. E finalmente la storia infinita troverà una conclusione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA