L’onore delle armi
di Sgarbi a Cavadini

Che Vittorio Sgarbi sia un genio raro, lo si evince anche da come, con una sola frase, abbia risolto l’annosa e dibattuta questione della politica culturale dell’amministrazione comunale comasca. «Cavadini ha i contenuti e non i titoli, Gaddi i titoli ma non i contenuti». Chapeau. Fosse arrivato prima il critico...

Perché quella frase rivela tutto. È uno spillone puntuto che sgonfia la bolla delle rassegne gaddiane, veicolate benissimo da uno che, non a caso, è diventato politico, come ama spesso ricordare, attraverso i casting della prima Forza Italia berlusconiana. Ma le parole di Sgarbi

rappresentano anche, con i complimenti meritati per la bella rassegna “Ritratti di città” che forse riuscirà con questo viatico a lasciare il cono d’ombra, una sorta di onore delle armi a Luigi Cavadini.

Perché, purtroppo, il primo responsabile del cono d’ombra che ha avvolto la sua creatura è proprio l’attuale assessore comunale alla Cultura. Una persona che, e paradossalmente lo dimostra anche il timbro di Sgarbi sulla rassegna di Villa Olmo, non può essere messa in discussione sul piano della competenza. Avercene di personaggi così sul pezzo nella Giunta di Como e non solo. Dove però Cavadini cade,e anche qui è Sgarbi a confermarlo, è sul piano della comunicazione, su quel “titolo” con cui Gaddi riusciva tanto bene a imbellettare contenuti «sbagliati» per usare le parole dello stesso critico d’arte.

Non a caso l’esponente di Forza Italia è riuscito sempre a sfangarla, nonostante la sua gestione del settore non sia stata risparmiata da critiche feroci provenienti dalla sua stessa maggioranza. Cavadini, invece, ha già ricevuto il benservito dal principale azionista della giunta Lucini, il Pd.

La comunicazione oggi, piaccia o no, è tutto per chi si affaccia nell’arengo della politica. Lo ha detto perfino, certo non con compiacimento, uno che di politica importante e autorevole ne ha masticata in quantità industriali, come l’ex dirigente del Pci di Togliatti e Berlinguer, Emanuele Macaluso. Matteo Renzi con le sue slide è un esempio plastico della comunicazione politica. Luigi Cavadini con i cartelloni della mostra da cui si fatica a comprendere l’oggetto, è l’esatto contrario. La stessa vicenda di Parolario è emblematica. La difficoltà di comunicazione tra l’assessore e gli organizzatori, lo conferma anche l’intervista rilasciata da Cavadini ieri al nostro giornale, è una delle cause che hanno portato alla scelta di sedi del tutto inadeguate, sul piano della capienza, per l’appeal di gran parte degli ospiti di una delle più importanti e note manifestazioni organizzate a Como. Un po’ come pretendere di giocare al Sinigaglia le partite di Champions League.

Una maggiore fluidità di comunicazione avrebbe certo portato a soluzioni più funzionali che pure non mancano anche in città e anche nel cuore di Como.

Oltretutto la vicenda della cultura a Como è un cane che si morde la coda. Il flop della mostra dello scorso anno, pregevole ma alquanto ostica per il grande pubblico, ha contribuito al la sovrapposizione tra quella di quest’anno con Parolario e Miniartextil e il conseguente sfratto delle rassegne da Villa Olmo.

Errori di comunicazione che pesano e hanno portato al corto circuito tra Cavadini, gran parte della maggioranza comunale e, soprattutto, la città. Forse anziché attendere l’umiliazione di una sfiducia che non merita, l’assessore potrebbe meditare su un onorevole passo indietro. Anche se l’ultima parola spetterà al sindaco Lucini.

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