Perché abbiamo
bisogno di un vescovo

Deve essere strano fare il vescovo oggi. Per certi versi le condizioni sembrano sempre più simili a quelle che in cui si trovarono i primi cristiani. Cioè guida di una minoranza, malvista e minacciata, costretta a vivere e ad esprimere la fede in un contesto molto diffidente e spesso ostile.

Per altri aspetti la situazione dei tempi moderni, del terzo millennio appena iniziato, rende la testimonianza cristiana sempre più attuale e affascinante, completa e profonda, capace di dare senso alla vita in un ambiente di straniamento e confusione, di alienazione ed illusione.

Come all’inizio anche oggi i cristiani sono circondati da popoli che credono in molti dei. Anche se oggi hanno nomi, volti e aspetti differenti come il potere, il denaro, la tecnologia che dà un senso di onnipotenza, la scienza vista come salvezza da ogni male e così via.

Allora c’è da chiedersi come deve essere davvero strano il ruolo del vescovo oggi. Cioè di una figura che guida una comunità di credenti su un vascello in un mare in tempesta che talvolta si ferma nella secca disperata o si presta al miraggio di sirene seducenti. Eppure abbiamo proprio bisogno di un vescovo. Tutti. Credenti e non credenti.

Con la sua originalità e simpatia Papa Francesco ha voluto porre l’attenzione su questa carica quando ha espresso la predilezione a essere chiamato Vescovo di Roma. Indicando con questo appellativo tra i tanti del Papa il senso della comunità episcopale, quel sentirsi famiglia che accomuna i vescovi e anche i cristiani di tutto il mondo.

Nel giorno del cambio alla Diocesi di Como tra il vescovo Diego Coletti e il vescovo Oscar Cantoni si può meditare sul ruolo del vescovo anche per noi che viviamo in queste terre di antica evangelizzazione. Nella lunga visita pastorale alle parrocchie (sono oltre trecento) il vescovo Diego pose l’accento sulla verifica della qualità della fede vissuta e testimoniata nelle nostre città e nei nostri paesi.

Sembra banale da dire, eppure anche tra i cristiani a volte si tende a vivere la fede un po’ a piacimento. Come in una tavola imbandita si prende solo ciò che ci appare di nostro gusto. E ci si dimentica il destino dell’annuncio, della missione e della carità per tutti e più ancora per i mancanti, i fuori regola, i lontani. Ci si fa poi un’idea di un Signore alquanto soggettiva. Ecco che il vescovo può diventare un personaggio scomodo. Perché svolge il suo compito. Che non è semplicemente quello di amministrare una diocesi. E nemmeno quello di un baluardo marmoreo. Dopo il rinnegamento di Pietro, Gesù gli disse: «Ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli».

Ecco le incombenze organizzative di un vescovo, alla fine, sono solo contorno. Per arrivarci possiamo risalire ai tempi della Chiesa nascente e al suo impegno di annunciare il Vangelo nel mondo e nel tempo. A questo compito provvidero gli apostoli che avevano vissuto con Gesù e poi anche san Paolo, esemplare nell’impegno missionario. Poi, vennero la seconda e la terza generazione e poi la quarta e così via.

La fedeltà al Vangelo annunciato da Gesù era garantita dalla trasmissione diretta dagli apostoli ai loro successori e da questi personalmente ai loro e così fino ai giorni nostri.

Ecco il ruolo del vescovo: essere apostolo, come ha detto ieri Cantoni, capace “di un nuovo inizio tra tanti inizi senza fine”. E cosa fa l’apostolo? Annuncia il Vangelo e, da vescovo, conferma i fratelli nella fede. Questo dà la garanzia che le cose in cui crediamo sono autentiche e fedeli a Gesù. Tutti abbiamo bisogno di un vescovo. Chi crede e chi non crede. Ai primi dà la certezza delle verità, ai secondi la possibilità di pensare tutto ciò che vogliono ma di avere nel vescovo uno sempre pronto a dare ragione della speranza – e della gioia - che abita in ogni cristiano. Dunque, grazie vescovo Diego. E forza vescovo Oscar!

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