Politica, la parola
del 2018? “Rieccoli”

È finita una legislatura che è stata una specie di taboga della politica. Due presidenti della Repubblica, uno rieletto (mai successo in precedenza) che lo sarebbe stato ancora se non avesse opposto un roboante diniego. Tre governi, il primo mandato a casa con un tweet (il famoso #staisereno), il secondo attraverso un referendum, il terzo che doveva durare un amen rischia di valicare i confini della legislatura. Insomma, a ben vedere, un bel rimescolamento. Peccato che, a furia di “rugare”, come si dice dalle nostre parti, si finisce per riportare a galla i soliti: i “rieccoli”.

Indro Montanelli coniò questo fortunato appellativo, ma al singolare ,quando si ritrovò Amintore Fanfani spuntato chissà da dove a guidare un ennesimo governo.

Allora, nella Prima Repubblica, di “rieccoli” potevano essercene uno massimo due, perché la politica era una carriera a vita, poi alla fine della fiera comandava sempre lo stesso partito, la Dc e il ricambio era molto soft. Se vi serve a un’immagine pensate alla poltrona parlamentare di Andreotti che aveva preso la forma della celebre gobba.

Finita quest’epoca discutibile fin che si vuole ma tranquilla, è cominciato il periodo dei sali e scendi vorticosi: Berlusconi I, Dini, Prodi I, D’Alema I e II, Amato, Berlusconi II, Prodi II, Berlusconi III. Poi basta perché la crisi, l’Europa e Napolitano avevano imposto la svolta con i Monti e i professori. Archiviati anche quelli, senza rimpianto, proprio la legislatura che ci ha appena lasciato sembrava, almeno agli albori, quella di un cambiamento fragoroso. Infrantosi in uno streaming il tentativo di Bersani di imbarcare i Cinque Stelle, perlomeno a palazzo Chigi, si è vista qualche faccia se non nuovissima, usata poco. Prima quella un po’ affilata di Enrico Letta, quindi il viso tondo di Matteo Renzi.

Berlusconi sembrava scomparso dal radar dopo l’espulsione dal Senato, la choccante esperienza dei lavori socialmente utili, i seri problemi di salute. E senza di lui anche i suoi luogotenenti, capaci di brillare solo di luce riflessa ,erano finiti nel cono d’ombra. Prodi vagava con la sua tenda (ed è l’unico che non rivedremo, forse), senza che nessuno gli cedesse un fazzoletto di terra per piantarla, D’Alema per consolarsi della rottamazione si era al dato al vino (quello che produce, ovviamente eccellente). Bersani che sembrava aver nella tasca del cappotto il biglietto vincente della lotteria a un certo punto si è ritrovato senza neppure il cappotto.

E a proposito, nessuno si è accorto che certi politici sono come i vestiti. Tu puoi lasciarli un po’ nell’armadio ma prima poi tornano di moda.

Allora la domanda da porsi in vista delle elezioni di primavera, non è “voi comprereste una macchina usata da questo politico?”, bensì “voi votereste un politico strausato?”.

In piena corsa infatti ci sono parecchi “rieccoli”: Berlusconi, D’Alema, Bersani, lo stesso Renzi che ha fatto tutto a una tale velocità da usurarsi in fretta e intrupparsi nella pattuglia. Segue il gruppo: Brunetta, Gasparri, La Russa, Santanché, la stessa Meloni che ancora giovane ha però già un’esperienza ministeriale sulle spalle. Alla presidenza della Lombardia si ripropone quel Roberto Maroni al governo 24 anni fa con la Lega che allora sì era nuova,

Il leader Massimo pensa addirittura di candidarsi nell collegio di Gallipoli, città in cui sancì nel 1994 l’alleanza con Rocco Buttiglione che mandò gambe all’aria il primo governo Berlusconi. Il quale se non potrà scendere in campo, continuerà a menare le danze di un centrodestra dove tanti “principi Carlo”, eterni aspiranti al trono, sono stati rosolati a fuoco lento.

Dice: ci sono quelli dei Cinque Stelle. Però,al dil là del fatto che vederli al governo dopo Roma qualche ansia la mette, sembra comunque difficile che ci potranno andare se continueranno a non voler contaminare la loro purezza con qualche alleanza. Del resto l’occasione di poterci andare in questo giro non gli è mancata, ma non l’hanno voluta sfruttare.

Senza stare a elencare i ricambi del ceto politico che si sono susseguiti in un questo lustro negli altri paesi europei (con l’eccezione della Germania che però è tale in tutto) viene forse da pensare che siamo noi italiani a essere un po’ sprovveduti se dopo esserci resi conto che il vestito ci stava male, lo vogliamo rimettere. Insomma i “rieccoli” alla fine sembrano non dispiacerci.

Alla fine, come dimostrano le passioni un po’ surreali generate da questo discettare, negli ultimi tempi, di “fascismo” siamo sempre un po’ nostalgici. Magari non solo e non tutti dalla buonanima, ma di una certa politica che all’epoca sembrava inguardabile, solo che poi si è visto anche di peggio, con rare eccezioni.

Sarà mica questo il segreto dei “rieccoli”? Che si stava meglio quando si stava peggio? Chissà, del resto non manca molto per scoprirlo. Basta aspettare il 4 marzo dopo lo scrutinio delle politiche.

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