Renzi si piega
al potere dei numeri

Sembra un destino ma i presidenti del Consiglio degli ultimi tempi sembrano destinati a incontrare sulla loro strada gli insegnanti e a scontentarli.

Senza stare a rivangare le proteste contro la riforma Gelmini dei tempi di Berlusconi, per confermare questa circostanza basta risalire a Mario Monti e alla riforma Fornero delle pensioni, per poi arrivare a Enrico Letta (il cui ministro del Tesoro ad un certo punto chiese indietro 150 euro di aumento ai professori e ai maestri suscitando un putiferio che metà bastava), e sta succedendo anche a Matteo Renzi che, paradossalmente, aveva promesso di sanare alcuni dei più vistosi “danni collaterali” provocati dalla signora Fornero, e cioè mandando in pensione quei 4000 insegnanti che, pur avendo maturato in tempo i vecchi requisiti pensionistici, ossia pur avendo raggiunto la fatidica “quota 96” (60 anni di età più 36 di lavoro), si erano visti sbarrare la porta della pensione. Renzi, o meglio Marianna Madia, aveva promesso che questa stortura si sarebbe sanata, e ci aveva provato a sanarla, inserendo una norma apposita nel provvedimento di riforma della Pubblica Amministrazione su cui al Senato verrà posta la fiducia. Peccato che quella norma sia stata prima criticata dal commissario alla Spending Review Carlo Cottarelli, che per questo aveva minacciato dimissioni quasi accolte da Renzi in persona, e poi bocciata irrimediabilmente dalla Ragioneria. Motivazione: per quei 4000 prepensionamenti non ci sono i soldi.

Il caso non è unico perché si accompagna ad altri su cui ieri il Governo si è dovuto correggere piegandosi ai niet dei funzionari della Ragioneria Generale, contrarissimi a quei provvedimenti per la nota ragione: assenza di fondi. Renzi ieri sera, come al solito via Twitter, ha assicurato che in agosto il Governo comunque sanerà la questione degli insegnanti – che si fa risalire ad un vero e proprio errore tecnico della Fornero – attraverso un provvedimento “piu’ampio”. Chissà.

Il punto è che il presidente del Consiglio, che giustamente rivendica il primato della ragione politica su quella tecnica, anche questa volta si è dovuto piegare al potere dei numeri e dei suoi sacerdoti: gli hanno detto “no” e no è stato. Che sia accaduto su questo argomento, che Renzi considera “estraneo alla ratio del decreto Madia”, è clamoroso per i precedenti e per le proteste politiche e sindacali che sta già’ suscitando, ma la domanda che l’episodio pone è di carattere ben più’ generale. Quante volte accadrà ancora, da qui all’autunno che si prevede – e quando mai non è stato così? – terribilmente “caldo”? Del resto, solo l’altroieri Renzi ha dovuto smentire la sua volenterosa promessa di allargare agli incapienti e alle partite Iva il vantaggio degli ottanta euro proprio perché la situazione economica non sta soddisfacendo le generali aspettative e i prossimi mesi saranno duri.

In questo contesto, saranno i numeri dei Cottarelli, o chi per lui, e dei funzionari della Ragioneria Generale a comandare sulle scelte politiche imponendo la loro logica ferrea, quella che Bruxelles ci impone senza nemmeno gli sconti auspicati dal premier. Del resto, la stessa riforma della Pubblica Amministrazione, uno dei banchi di prova più importanti della azione riformatrice del Governo, non e’ sicuramente a costo zero e mentre promette risparmi, nel frattempo di propone per esempio un ringiovanimento degli impiegati, e un conseguente piano di prepensionamenti, che e’ costoso, ben più’ costoso di quanto possa esserlo il caso dei 4000 insegnanti.

Sono solo esempi delle difficoltà che ci aspettano e che aspettano il Governo. Le promesse sono belle se diventano fatti concreti: è solo questo che conta, non le buone intenzioni.

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