Riforme: il patto
sbanda a destra

In vista dell’inizio delle votazioni in Aula al Senato sulle riforme, crescono le tensioni contro il Patto del Nazareno. L’accordo tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi finora ha mostrato una forte tenuta: i dissidenti sanno che se ciò sarà confermato in aula, il tentativo di aprire una crepa nel muro dell’intesa sarà politicamente fallito.

Ciò spiega il malumore che serpeggia nei gruppi di Forza Italia (il fronte più esposto), il fuoco amico di alcune aree del Pd che non escludono «aggiustatine» alla Camera (Bersani) e il nervosismo di Beppe Grillo che giudica il Patto del Nazareno un salvacondotto per salvare Berlusconi e le sue aziende in cambio dell’appoggio al «disegno controriformista’’ di Giorgio Napolitano. Il punto è di capire se la sommatoria di queste criticità possa costituire un reale pericolo per Renzi. Stando ai numeri, l’opposizione più o meno mascherata non sembra avere i numeri per rovesciare il tavolo. Ma, come ha lasciato intendere l’ex segretario del Pd, il vero problema potrebbe porsi alla Camera; del resto le quattro letture previste per i disegni di riforma costituzionale rappresentano già di per sé un cammino complesso in cui le sorprese sono sempre possibili. Lo dimostra il fatto che finora sono fallite in sequenza due bicamerali, la devolution del centrodestra, il federalismo del centrosinistra e lo stesso principio del pareggio di bilancio è sotto processo. Ne deriva che il Rottamatore ha la necessità vitale di fare presto: per presentare risultati concreti in Europa e battere sul tempo le manovre ostruzionistiche dei suoi avversari. A preoccuparlo non è il Pd, che certo non può smentire la nouvelle vague su cui è stata costruita la grande vittoria elettorale alle europee, ma la tenuta di Forza Italia. La fronda azzurra lambisce ormai la stessa leadership del Cavaliere: la tattica di prendere tempo non ha funzionato e la decisione poi annullata del gruppo parlamentare della Camera di riunirsi comunque, in attesa della convocazione di tutti i parlamentari da parte di Berlusconi, non è stata un bel segnale. Raffaele Fitto critica apertamente come un errore la tentazione di Berlusconi di circoscrivere il confronto interno invece di lasciare libero sfogo alle varie anime di Fi e si pone sempre più esplicitamente alla testa dei dissidenti. Alla Camera divampa la contestazione alle intese raggiunte al Senato, per esempio sui referendum (Capezzone), e alla politica economica dell’esecutivo che, secondo il capogruppo Brunetta, sa perfettamente che una manovra correttiva in autunno sarà ineludibile.

Difficile dire se Berlusconi riuscirà a tranquillizzare i suoi in base alla distinzione dei due piani, quello delle riforme sul quale c’è l’accordo con Renzi e quello dell’economia sul quale invece l’accordo non c’è; ma è chiaro che innalzare la temperatura non favorisce la tenuta del Patto del Nazareno. Il fatto è che il tramonto della golden share berlusconiana sull’ intero centrodestra apre prospettive inesplorate: per esempio gli alfaniani fanno sapere a Renzi di non accettare nessun patto a due sull’Italicum; poi c’è la petizione lanciata da Fratelli d’Italia per le primarie di coalizione sulla quale si sono allineati un po’ tutti, dalla Lega al Ncd, a Fi. Prove di riunificazione politica?

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